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economia compromessa

Russia a filo di gas: crolla la produzione e si dimezza l'export

Federico Bosco

Secondo un rapporto della Commissione energia del Consiglio di Stato russo quest’anno il volume delle esportazioni attaverso i gasdotti potrebbe dimezzarsi, con un conseguente drastico calo delle entrate: nel primo trimestre del 2023 sono scese del 21 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022

Roma. La decisione di Vladimir Putin di usare le forniture di gas naturale per imporre la sua volontà all’Europa ha compromesso, forse per sempre, una delle risorse principali dell’economia e del bilancio della Federazione Russa. Il quotidiano russo Izvestija riporta che secondo un rapporto della Commissione energia del Consiglio di Stato russo quest’anno il volume di gas esportato attaverso i gasdotti potrebbe dimezzarsi: dal minimo storico di 100 miliardi di metri cubi  dell’anno scorso a 52 miliardi di metri cubi.  La causa sono le sanzioni, il rifiuto europeo del gas russo, e la difficoltà di orientare le forniture verso altri mercati.  

Con i prezzi del gas tornati sotto controllo rispetto alle quotazioni folli del 2022, per Mosca il crollo delle esportazioni significa anche un crollo delle entrate: nel primo trimestre del 2023 le entrate da gas sono scese del 21 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. La tendenza è continuata nel mese di aprile, con entrate persino inferiori a quelle dell’aprile del 2020 (uno degli anni peggiori di sempre per via del Covid). Complessivamente, ad aprile le entrate russe da oil e gas sono state del 64 per cento inferiori al record dell’aprile dell’anno scorso nonostante l’aumento delle tasse di Mosca sulla produzione di gas e petrolio.

Il rapporto della Commissione energia spiega che per compensare le perdite sui mercati europei la Russia dovrebbe aumentare i consumi interni (che invece sono in calo) usando più gas nell’industria; aumentare la capacità di rigassificazione costruendo fino a 94 terminal di gas naturale liquefatto (Gnl) per arrivare a mercati altrimenti irraggiungibili; e costruire due gasdotti per collegare i giacimenti della Siberia occidentale alla Cina. Ma si tratta di progetti di medio-lungo periodo.Una sfida che peraltro appare quasi impossibile visto che, nel concreto, richiede enormi investimenti infrastrutturali mentre vengono a mancare le entrate dell’export e lo sviluppo di industrie diversificate e aperte al commercio internazionale in quella che ora è la nazione più sanzionata del mondo.

Attualmente il gas russo esportato fuori dei paesi della Csi – i paesi ex sovietici del Caucaso e dell’Asia centrale più la Bielorussia – passa nei gasdotti che attraversano l’Ucraina (Soyuz, Brotherood), la Turchia (Blue Stream, TurkStream) e la Cina (Power of Siberia). In base alle stime di Mosca, quest’anno il volume delle prime due rotte dovrebbe arrivare a circa 30 miliardi di metri cubi, mentre i volumi del gasdotto russo-cinese dovrebbero salire a 22 miliardi di metri cubi rispetto ai 15 miliardi dell’anno scorso. Per fare un confronto, nel 2021 la sola Gazprom ha esportato fuori della Csi oltre 185 miliardi di metri cuvi di gas: molto più del triplo di stime che oggi vengono considerate quasi ottimistiche.

Anche la produzione di Gnl, che l’anno scorso ha dato qualche soddisfazione a Mosca, è destinata a calare. Nel 2022 le esportazioni russe di Gnl sono aumentate del 9 per cento arrivando a 46 miliardi di metri cubi (quasi la metà in Europa), ma sarà difficile aumentarle o anche solo replicarle visto che le sanzioni hanno tagliato fuori la tecnologia e le aziende occidentali, che finora hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo del gnl russo.

Le prospettive sono cupe. L’anno scorso la Russia ha dovuto ridurre la produzione di gas del 13,4 per cento rispetto all’anno precedente, e secondo il Kommersant (il quotidiano del mondo degli affari russo), nel primo trimestre del 2023 la produzione è diminuita di un altro 10 per cento su base annua. A risentirne più di tutti è Gazprom, il colosso statale, che nel primo trimestre dell’anno ha ridotto la produzione di gas del 18 per cento. Nonostante i numeri molto negativi, dalle parti di Mosca si ostenta sicurezza. Dopo aver minacciato di lasciare l’Europa al freddo e al gelo,  Gazprom su Telegram preannuncia una difficoltà dei paesi europei nel riempire gli stoccaggi per questo inverno. La previsione è in realtà una vana speranza: quella di tornare a rifornire l’Europa occidentale. Con l’invasione dell’Ucraina Gazprom ha ormai definitivamente perso il suo principale e migliore mercato. 

Ripristinare gli stoccaggi effettivamente non sarà una passeggiata, potrbbero esserci delle criticità in caso di inverno rigido, ma l’Unione europea ha superato agilmente la stagione invernale 2022-23, che era la più critica, con un tasso di riempimento degli stoccaggi al 56 per cento (dato di fine marzo), ben al di sopra della media quinquennale del 34 per cento. Sono livelli record per la fine dell’inverno, una situazione di relativa sicurezza che si riflette anche nei prezzi. La guerra energetica della Russia all’Europa è durata meno di anno, e ora i rapporti di forza si sono ribaltati.
 

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