(foto EPA)

vulnus europeo

Il sostegno dell'Ue a Kyiv non può essere timido e lento. Istruzioni per un salto di qualità

Vittorio Emanuele Parsi

E’ inaccettabile che l’insieme dei paesi che fanno il 22 per cento del pil mondiale sia in difficoltà nel provvedere la necessaria assistenza militare a un popolo che è sotto aggressione da parte russa dal 2014 proprio per la sua volontà di avvicinarsi all’Europa

Passati 14 mesi dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina e anche in vista del ventilato – e necessario – inasprimento delle sanzioni nei confronti di Mosca, vale la pena interrogarsi sull’efficacia della politica dell’Unione europea su un tema, il ritorno della guerra in Europa, che chiama in causa non solo i princìpi sui quali l’Ue si fonda ma anche le sue prospettive future. 

 

Per evitare irrealistici e immotivati pessimismi occorre partire da una considerazione difficilmente contestabile: a “trattati vigenti”, l’Ue ha dato prova di un’impensabile e imprevedibile saldezza e coerenza nella gestione di un dossier delicato e grave come quello ucraino. Gran parte del merito va riconosciuto al lavoro di Ursula von der Leyen che – con l’ausilio decisivo di Mario Draghi nelle complicatissime fasi di avvio e fintanto che l’ex banchiere centrale europeo ha rivestito la carica di primo ministro italiano – ha tenuto insieme la compagine dei 27 e salda la barra del timone di Bruxelles. La convocazione del vertice di Versailles, a poche settimane dallo scoppio del conflitto, è stata determinante nel richiamare tutti gli stati membri a mostrare allineamento e coerenza non con “le posizioni di Washington” – come vorrebbe la sciatta vulgata dello pseudo-pacifismo nostrano – ma invece con i princìpi e i trattati che costituiscono la base sulla quale l’Unione si fonda.

 

Che sia stata e continui a essere una realizzazione tutt’altro che scontata è attestato dai ricorrenti malpancismi e dalle ripetute “fughe all’indietro” di cui un paese cruciale per l’Unione come la Francia si è resa protagonista. Alle prese con un ciclo elettorale difficile, con un approccio dirigista e poco empatico e alla ricerca di scorciatoie per risalire un calo di popolarità che non conosce sosta – ma forse anche pensando al suo futuro politico-professionale – il presidente francese Emmanuel Macron ha improvvisato iniziative non solo strategicamente discutibili ma persino dannose per la comune postura europea. Animato da uno spirito che non saprei se definire più gollista o gallista, l’inquilino dell’Eliseo ha comunque reso un servizio all’Unione, mettendo in evidenza i limiti oggettivi che l’azione esterna dell’Ue non può superare se non raggiunge un livello maggiore di coesione interna. Lo straordinario coraggio e l’esemplare amore per la libertà messi in mostra dal popolo ucraino, uniti alla sorprendente solidità della sua leadership e alla rimarchevole tenuta delle sue istituzioni, hanno impedito che Putin potesse fare dell’Ucraina un solo boccone, mettendo l’Europa e il mondo di fronte al fatto compiuto. Questo fatto, di per sé estremamente lodevole e positivo, ha però messo a nudo la coperta corta delle istituzioni europee, la lentezza del cui processo decisionale rischia di vanificare o quantomeno rendere molto più costoso il valoroso sforzo che gli ucraini e le ucraine stanno compiendo da oltre un anno e che dovrà proseguire ancora per molti mesi affinché l’obiettivo di piegare la volontà criminale del Cremlino possa essere conseguito. Perché ciò avvenga – ed è un obiettivo realisticamente perseguibile, nonostante l’interessato e miope disfattismo che si accoda docile alla distorta narrativa orwelliana di Lavrov e compagni – occorre che il sostegno politico, economico e militare alla Resistenza ucraina sia continuo e tempestivo.

 

Episodi come quelli relativi alla sospensione dell’import di cereali ucraini da parte polacca (e le misure simili intraprese o annunciate da altri paesi dell’Ue) sono crepe che non devono essere sottovalutate. Ben più gravi, sul piano operativo, sono le difficoltà europee a incrementare la produzione del munizionamento necessario all’Ucraina per poter replicare alla pioggia di fuoco che una Russia sempre più frustrata dagli insuccessi operativi rovescia sui cieli ucraini. Altrettanto può dirsi della timidezza nel fornire i sistemi d’arma necessari all’Ucraina per riequilibrare il bilancio con l’aggressore e difendere gli obiettivi infrastrutturali presi sistematicamente di mira dai russi. In tal senso un’eccezione lodevole è costituita dall’Olanda che, pur se non provvista di mezzi corazzati per le sue Forze armate, ha già fornito 45 T72 EAs, 33 Leopard 1A5s e 7 Leopard 2A4s (oltre a diverse centinaia tra veicoli corazzati per il trasporto truppe, semoventi di artiglieria, obici e sistemi missilistici) e che ha deliberato ulteriori massicci rifornimenti.

E’ inaccettabile che l’insieme dei paesi che fanno il 22 per cento del pil mondiale sia in difficoltà nel provvedere la necessaria assistenza militare a un popolo che è sotto aggressione da parte russa dal 2014 – giova ricordarlo – proprio per la sua volontà di avvicinarsi all’Ue. D’altronde, senza un maggior coordinamento centrale, appare difficile colmare questo vulnus strategico.

 

Le intemerate cinesi di Macron, infine, dimostrano impietosamente che nessun asse franco-tedesco (peraltro sempre meno coerente) né altri caminetti informali rappresentano rimedi efficaci per supplire ai ritardi nella realizzazione di una politica estera e di sicurezza effettiva e comune. L’epoca di ferro che si apre di fronte a noi non consente facili (e fatali) illusioni: senza un salto di qualità, il futuro dell’Unione è decisamente a rischio e lo straordinario esperimento costituzionale inaugurato quasi 70 anni fa potrebbe semplicemente divenire “unfit to survive”, un fossile istituzionale e politico. Sarebbe paradossale che una creatura politica che ha sempre saputo avvalersi delle sfide esterne per evolvere, e che, a ben guardare, è nata sullo stimolo delle condizioni esterne (favorevoli) rappresentate dalla Guerra fredda, entrasse in una crisi irreversibile per la sua sopraggiunta incapacità di leggere e sfruttare a suo vantaggio il ritorno di condizioni simili a quelle che ne avevano consentito il suo sorgere e rafforzamento.

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