L'editoriale del direttore
Le grandi risposte dell'Italia agli utili idioti del putinismo
“Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?”. Un anno dopo la frase di Draghi possiamo rispondere che l’Italia finora ha scelto di difendere la prima. Con sacrifici, sofferenze, ma senza un’economia tempestata da troppe calamità
“Preferiamo la pace o il condizionatore acceso? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre”. Sono passati esattamente dodici mesi dalla famosa frase con cui Mario Draghi, in un pomeriggio d’aprile nel 2022, gelò la platea dei giornalisti durante una conferenza stampa dedicata all’ultimo Documento di economia e finanza presentato dal suo governo. Un anno dopo, con discreto orgoglio patriottico, come si direbbe oggi, si potrebbe concludere che, nonostante i devastanti effetti del global warming, che in questi giorni si è preso però una piccola pausa (brrr), la risposta alla domanda di Draghi è che l’Italia tra il condizionatore acceso e la difesa della pace finora ha scelto la seconda. I più spiritosi potrebbero dire che in verità, negli ultimi dodici mesi, l’Italia ha scelto di difendere la pace senza rinunciare ai condizionatori, cosa che in parte è vera. Ma se si ha il coraggio di riavvolgere velocemente il nastro dell’anno appena trascorso si noterà, senza fare troppa fatica, che alcune delle grandi balle che erano state messe in circolo dai professionisti della zizzania per disincentivare l’impegno dell’Italia nella difesa dell’Ucraina sono state sistematicamente smentite dalla realtà. Vi ricordate cosa si diceva sul gas? Certo che lo ricordate. Si diceva che mai e poi mai l’Italia sarebbe stata in grado di sostituire così velocemente il gas russo con altro gas. E si diceva che l’Italia avrebbe dovuto affrontare chissà quali interminabili periodi di razionamento. È successo?
Certo che no (stoccaggio pieno e moglie ubriaca). Vi ricordate poi cosa si diceva sulle esportazioni italiane? Certo che lo ricordate. Si diceva che mai e poi mai l’Italia sarebbe stata in grado di sopportare il grave contraccolpo che avrebbe ricevuto la nostra economia dalla chiusura degli scambi commerciali con la Russia. E invece cosa è successo? È successo che abbiamo scoperto che le esportazioni in Russia valgono meno del due per cento delle nostre esportazioni (capito Salvini?) ed è successo che proprio nell’ultimo anno l’Italia ha raggiunto un record nel valore delle sue esportazioni, 620 miliardi di euro, e non solo a causa dell’inflazione più alta: semplicemente perché si è riorganizzata. Vi ricordate poi cosa si diceva della nostra economia e della nostra occupazione, sì? Certo che vi ricordate. Si diceva che l’economia italiana sarebbe finita sul lastrico, a causa del nostro impegno nella difesa dell’Ucraina, e si diceva che finanziare la resistenza contro la Russia avrebbe contribuito a far aumentare la guerra a dismisura, creando gravi dolori alla nostra occupazione. E invece un anno dopo il pil italiano continua a superare le attese degli analisti, continua a performare meglio di quello francese e tedesco, e anche l’occupazione, oplà, è ai massimi storici. Vi ricordate poi cosa si diceva sui prezzi del gas, vero? Certo che vi ricordate. Si diceva che l’Europa mai e poi mai avrebbe trovato un modo per agire in modo unitario per trovare un freno di emergenza da attivare in caso di prezzi del gas troppo alti. E invece cosa è successo? È successo che un freno, seppur in ritardo, l’Europa l’ha trovato, vedi alla voce price cap, anche se i prezzi del gas continuano a essere instabili, ed è successo poi che l’Europa divisa, ingovernabile, irriformabile, irresponsabile, come da descrizione dei sovranisti di un tempo, alla fine è riuscita a trovare un modo per approvare ben dieci pacchetti di sanzioni unitarie alla Russia.
Sanzioni, come vi ricorderete, che i falsi amici dell’occidente, e i falsi avversari del putinismo, per mesi hanno cercato di descrivere come più nocive per gli europei che per i russi e che invece, un anno dopo, sono lì che iniziano a produrre effetti niente male. Effetti forse inferiori alle attese degli europei, ma effetti certamente superiori rispetto alle speranze dei russi (dai 30 miliardi in esportazioni fatturati prima della guerra, ora i ricavi di Putin si sono fermati a 18,5 miliardi). Si diceva tutto questo, naturalmente, ma si diceva anche molto altro. Si diceva che gli italiani, per esempio, mai sarebbero stati così disciplinati da riuscire a ridurre i consumi in modo da adattarsi alle nuove condizioni e alle bollette più alte, determinate solo in parte dalla guerra in Ucraina, e invece anche qui big surprise: solo un terzo del risparmio energetico registrato tra novembre e dicembre, come abbiamo già avuto modo di raccontare, è dipeso dalle temperature più alte, e secondo un report consegnato qualche settimana fa al Mise e al ministero dell’Ambiente ciò che risulta è che due terzi di quel risparmio derivano da una doppia disciplina: case più efficienti dal punto di vista energetico cittadini più misurati nell’utilizzo dell’energia. Gli utili idioti del putinismo volevano spegnare la resistenza e accendere il condizionatore. Un anno dopo si può dire che la scelta dell’Italia è stata chiara e diversa dalle attese: condizionatori accesi a metà, termosifoni accesi secondo necessità, difesa dell’Ucraina senza ambiguità. Con sacrifici, sì, sofferenze, ovvio, ma senza un’economia tempestata da troppe calamità. Preferiamo la difesa della pace o il condizionatore acceso? La risposta è sotto i vostri occhi. Ed è una risposta che, con discreto orgoglio patriottico, offre ragioni per essere ottimisti sul futuro dell’Italia.