Perché Orbán sta rimandando il suo voto a favore dell'allargamento della Nato

Paola Peduzzi

Il premier ungherese fa il “pacifista” putiniano e rallenta l’unità occidentale. L'arma del tempo nell'arsenale di Mosca e di Budapest

Milano. Viktor Orbán prende tempo per dare il suo consenso (necessario) all’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia, perché l’urgenza della sfida per respingere la Russia non l’ha mai sentita, né quando c’era da far transitare le armi dirette alla difesa dell’Ucraina sul territorio ungherese, né quando c’era da mettere sanzioni che rallentassero la macchina della guerra di Vladimir Putin né ora, che il nuovo assetto dell’Alleanza atlantica dipende dal voto di Budapest e di Ankara. Il tempo è un’arma che Mosca vuole tenere nel suo arsenale e così finisce dritto anche nell’arsenale del premier ungherese, che lo usa per rallentare da dentro le iniziative europee e della Nato e poi passare all’incasso, ché la gestione filoputiniana del potere per Orbán è soprattutto una questione di soldi. 

 

Il premier ungherese aveva dato il suo assenso all’allargamento della Nato già tempo fa, segnalando la sua volontà di non mettersi di traverso a un processo di allineamento e adesione scatenato dalla brutalità dell’aggressione russa in Ucraina. Ma poi ha iniziato a rimandare l’ufficializzazione del suo consenso e lo ha fatto ancora una volta qualche giorno fa, rinnovando un dibattito parlamentare (che si è informalmente aperto nel luglio dello scorso anno e che è destinato a essere invero poco solidale con l’Ucraina) che si apre domani e che dovrebbe far slittare la decisione finale alla settimana prossima almeno. Gergely Gulyás, un collaboratore del premier ungherese, ha detto: “L’adozione di una legge richiede circa quattro settimane, quindi  il Parlamento potrà votare su questo argomento nella seconda metà di marzo, nella settimana del 21 marzo”. La Reuters puntualizza: “Lo scorso luglio, il governo fece votare una norma fiscale in due giorni”. La riluttanza orbaniana riguarda una postura generale nei confronti della guerra (che lui chiama “guerra russo-ucraina”, operando una equiparazione linguistica di aggredito e aggressore) e una specifica nei confronti della Svezia e della Finlandia, che aspettano di poter procedere con l’adesione fattiva dentro la Nato ormai da molti mesi. Orbán ha accusato i due paesi di aver diffuso “vere e proprie bugie” sulla salute della democrazia e dello stato di diritto in Ungheria e per questo, ha detto, è necessaria una riflessione più articolata sul loro ingresso dentro un’organizzazione di cui lui fa già parte.  

 

 Nel suo discorso alla nazione del 20 febbraio scorso, Orbán non ha fatto un riferimento esplicito a Svezia e Finlandia, nonostante sia una questione urgente su cui Budapest viene continuamente interpellata, dal momento che il suo voto blocca ogni passo in avanti. In compenso, il premier ungherese ha avuto modo di delineare la sua posizione nei confronti dell’aggressione russa: non ci sono novità sostanziali rispetto al passato, ma la gravità sta proprio in questa indifferenza alla brutalità delle forze russe contro il popolo ucraino. Orbán ha detto che l’Ungheria deve starsene il più possibile fuori dal conflitto: certo, il paese che guida fa parte sia dell’Ue sia della Nato, ma la sovranità dell’Ungheria è assoluta, “sopra di noi c’è soltanto Dio”, ha detto, cosa curiosa considerando che senza i fondi generosi dell’organizzazione sovranazionale europea, l’Ungheria farebbe davvero fatica a sopravvivere. Tant’è vero che proprio per ricevere i fondi del Pnrr, ritardati a lungo proprio perché il governo ha smontato la divisione dei poteri nel suo paese accentrandoli, Orbán ha temporaneamente sospeso la sua ostilità (dei veti, non certo della retorica) verso Bruxelles.

 

Ma dichiarandosi fintamente neutrale, il premier ungherese ha sì riconosciuto il diritto dell’Ucraina a difendersi (è per questo che l’Ungheria ha accolto i rifugiati ucraini), ma il sostegno umanitario a Kyiv non deve in alcun modo danneggiare i legami con Mosca. Budapest non vuole isolare la Russia, vuole mantenere i suoi legami commerciali e le esenzioni sulle sanzioni di gas e petrolio concesse dall’Ue per evitare che il veto ungherese inficiasse le sanzioni nel loro complesso. Orbán considera “propaganda ucraina” le minacce russe contro altri paesi limitrofi, dice che all’inizio del 2022 la Nato avrebbe potuto evitare il conflitto accettando la presenza della Russia nell’est dell’Ucraina, proprio come aveva già fatto con la Crimea, e propone la sua “posizione a favore della pace” che prevede un cessate il fuoco immediato e l’accettazione delle precondizioni di Putin, cioè appunto le concessioni territoriali. Confidando in una “riunificazione dello stesso sangue ungherese” oltre i confini dell’Ungheria, Orbán conta anche in un ritorno di Donald Trump nel 2024. Alla luce delle parole, degli obiettivi e delle speranze del premier ungherese, risulta chiaro perché il ritardo dell’allargamento della Nato gli sta tanto a cuore: il prezzo del suo consenso non lo ha ancora fissato.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi