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Quanto costa a Putin aver spinto Finlandia e Svezia nella Nato

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Ora la Russia deve difendere una strada e una ferrovia strategiche, non può più nascondersi nel Baltico e deve compensare uno scarto tecnologico enorme

La reazione dell’Europa è stata fortissima ma dobbiamo fare di più, ha detto Sanna Marin, la sorridente premier finlandese in visita in Italia, instancabile nella sua determinazione nel dimostrare alla Russia che l’invasione dell’Ucraina è stata proprio un errore. Finlandia e Svezia hanno formalizzato la loro richiesta di adesione alla Nato forti del sostegno politico e dell’opinione pubblica interna e sono state accolte dai nuovi alleati con tutto il calore possibile. Citiamo quel che ha detto il premier britannico, Boris Johnson: “Oggi è un giorno storico per la nostra alleanza e per il mondo. Non tanto tempo fa nessuno avrebbe previsto un passo del genere, ma le ambizioni terrificanti di Putin hanno trasformato i contorni geopolitici del nostro continente. Non vedo l’ora di accogliere Finlandia e Svezia nella famiglia della Nato molto presto”.

 

La guerra di Putin ci ha costretti a ripensarci, a mettere ordine nelle priorità, a ripescare le vecchie foto nei cassetti per recuperare il senso di quel che ci tiene insieme, noi europei, noi Nato, noi alleati occidentali, dopo tanti anni in cui ci guardavamo sospettosi: ma che ci stiamo a fare insieme? Putin voleva dividerci e ci ha uniti, ha restituito alla Nato il suo significato originario – un’alleanza per difendersi, per proteggersi – e ha restituito all’Ue un istinto riformatore che si era perso nell’usura delle convivenze lunghe. La misura di questa trasformazione la troveremo col tempo, ed è importante non distrarsi né autocompiacersi troppo perché la rinnovata unità diventerà un successo concreto soltanto se dura nel tempo. Come dice Sanna Marin, bisogna fare di più, la fatica ora non si può sentire, e da fare c’è ancora tantissimo.

 

Putin scommette sulla stanchezza, pensa di essere un feroce maratoneta che può schiacciare noi velocisti dal fiato corto, ma intanto dovrebbe mettersi anche lui a fare un bilancio di questi ottantaquattro giorni di guerra. Abbiamo cominciato a farlo noi per lui e siamo partite dai milletrecentoquaranta chilometri di confine tra la Finlandia e la Russia: un confine esterno dell’Unione europea, un confine esterno della Nato, un confine costellato di paletti bianchi-blu della Finlandia e rosso-verdi della Nato, di posti di blocco in cui si controllano i passaporti (la Finlandia è il paese che emette più visti per la zona Schengen ai russi di tutta l’Europa),  piazzato per lo più nel mezzo di foreste disabitate. 


Una nuova frontiera. A oggi la Nato e la Russia condividono circa mille chilometri di confine, quindi l’arrivo della Finlandia significa che questo confine più che raddoppia. Dei mille chilometri già in comune, circa quattrocento sono la frontiera dell’exclave russa di Kaliningrad con Polonia e Lituania che già ospita la flotta russa del Baltico, due basi aeree, migliaia di truppe e i missili Iskander, capaci di portare testate atomiche. E’ un’area molto pericolosa e per questo controversa da anni ma, in caso di conflitto, facilmente accerchiabile. Il punto di forza della Russia in realtà non sta tanto e solo a Kaliningrad, ma nell’estremo nord, nei centocinquanta chilometri di frontiera tra la Norvegia e la Russia dove c’è un fiume. Di fatto in realtà i russi possono presidiare con facilità (e già lo fanno) il punto di ingresso dal territorio russo alla Norvegia, che è un imbuto largo circa trenta chilometri, diventando così quasi impermeabile all’eventuale ingresso di truppe della Nato. Questo per dire che il cosiddetto accerchiamento cui s’appiglia Putin fin da quando ha mosso le truppe ai confini dell’Ucraina in realtà è ribaltato, perché a guardare la mappa lui difende meglio la frontiera con la Nato di quanto riusciamo a fare noi alleati. Se si fa un calcolo dei chilometri di frontiera, oggi quelli sensibili sono quindi circa 480, Kaliningrad e l’imbuto vicino alla Norvegia. Con l’arrivo della Finlandia cambia tutto e per questo è  importante ricordarci che i finlandesi non si sognavano neppure di entrare nella Nato prima che Putin invadesse l’Ucraina. Il desiderio di protezione della Finlandia è il frutto dell’ossessione di accerchiamento ben poco dimostrabile di Putin.  

 

A due passi dalla nuova frontiera terrestre della Nato ci sono gli interessi militari più importanti di Mosca

 

La penisola di Kola. Questa è l’estremità nord-occidentale della Federazione russa, è abitata per lo più da lapponi della Russia che allevano le renne e ha un grande porto, Murmansk, che si affaccia sul mare di Barents: nel periodo sovietico era la sede di gran parte della produzione di sottomarini della Marina e  oggi è sede di una delle più importanti basi militari della Russia.  Tomi Ahonen, che nella vita tiene discorsi motivazionali in pubblico e che durante la guerra si è messo a studiare le mappe, gli arsenali e la storia del nord, spiega che la parte occidentale della penisola di Kola è una delle zone più dense di armi nucleari del pianeta. La flotta artica della Russia ha la base dei suoi sottomarini fuori Murmansk (zoommando sulle mappe di Google si vedono i “boomer”, i sottomarini che portano armi nucleari). Ci sono anche la basi dell’aviazione, con i Tupolev Tu-160 Blackjack, i Tu-22N Backfire e i Tu-95 Bear, anch’essi in grado di portare e sganciare armi nucleari. Ci sono anche altri asset militari, oltre che le miniere di nickel e le industrie idroelettriche che sono rilevanti per l’economia russa, ma c’è un problema: la penisola è collegata al resto della Russia soltanto da una strada e da una ferrovia che va da Murmansk verso sud per settecento chilometri prima di biforcarsi: è strategica e fragile. Finora, cioè prima che Putin invadesse l’Ucraina e la Finlandia decidesse di chiedere l’adesione alla Nato, questa strada era abbastanza sicura: si accedeva a questo ganglio vitale dal pertugio di circa trenta chilometri dalla Norvegia presidiato da due divisioni di truppe della sezione artica dell’esercito russo, quindi ben protetto. Ora questa strada corre parallela al confine con la Finlandia, il che vuol dire che non è più controllabile dai russi. Non serve un’invasione finlandese nella penisola, non servono migliaia di convogli o di soldati finlandesi, bastano azioni mirate di sabotaggio aiutate dalle foreste per distruggere la strada, la ferrovia o le linee elettriche che collegano Murmansk al resto della Russia.  


La potenza del mare. La Russia ha quattro flotte: una nel mar Nero strategica per levare il mare all’Ucraina (se non affondano tutte le ammiraglie), una nel Pacifico, una nel mare di Barents (a Murmansk) e una nel mar Baltico che è stanziata a San Pietroburgo, il porto più vicino a Mosca nonché la seconda città più grande del paese. La Russia ha il più grande arsenale di sottomarini del mondo e il mar Baltico è il passaggio che permette a questi sottomarini di arrivare fino all’Atlantico, dove ci sono i sonar americani che possono intercettarli. Se i sottomarini russi non entrano nelle acque di Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Germania  possono arrivare fino alla Danimarca senza essere intercettati. Ma se ora aggiungiamo al calcolo la Finlandia e la Svezia affacciate sul mar Baltico la possibilità dei sottomarini di nascondersi ai sonar e agli strumenti condivisi con la Nato crollano di parecchio. Di fatto il mar Baltico diventa “il lago della Nato”. 


Il fattore svedese. La Russia non condivide nessun confine con la Svezia, ma i militari russi sono comunque molto preoccupati dall’ingresso del paese nella Nato. I giornali svedesi hanno pubblicato nelle scorse settimane molti articoli in cui raccontavano la storia dell’evoluzione dei loro mezzi militari, in particolare aerei e missili: sembra di leggere manuali sull’evoluzione della specie, cioè  la Svezia ha adattato la propria capacità di difesa al proprio habitat. E oggi, in estrema sintesi, il nostro prossimo alleato della Nato ha una delle aviazioni più grandi d’Europa ed è l’unico paese al mondo che può continuare a far volare i propri aerei anche se un attacco dovesse distruggere tutti i suoi aeroporti e le piste di atterraggio. C’entra molto l’innovazione tecnologica garantita per decenni dagli ingegneri della Saab in partnership con altri produttori, che hanno permesso di costruire il più efficace sistema di missili antiaereo a corto raggio, l’Rbs-70 (venduto anche alla Finlandia), e la classe di sottomarini Gotland, gli unici sottomarini che in un’esercitazione congiunta con la Nato sono riusciti a colpire ben due volte una portaerei nucleare americana. Non vorremmo andare troppo nel tecnico, ma i mezzi militari finlandesi e svedesi  negli anni sono stati aggiornati per essere perfettamente compatibili con quelli dei paesi della Nato, e questa compatibilità riguarda anche i sistemi di comunicazione dalle radio ai radar. Questo per dire che l’integrazione degli eserciti di Svezia e Finlandia è già ben avviata. 

 

L’Ue vuole colmare “il processo di disarmo enorme e silenzioso” degli ultimi decenni dandosi tre nuove priorità

 

La “sveglia” per l’Ue. La guerra della Russia è stata una “sveglia” per l’Unione europea e le sue carenze in termini di spesa per la Difesa, ha detto l’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell. La Commissione di Ursula von der Leyen ha presentato un rapporto sui gap in termini di investimenti accumulati nel corso degli ultimi anni: 160 miliardi tra il 2009 e il 2018. Borrell lo definisce “un processo di disarmo enorme e silenzioso”. Gli stati membri hanno deciso di mettervi fine. Dall’inizio della guerra, i governi europei hanno annunciato un aumento della spesa che si avvicina a 200 miliardi di euro. Dal 1999 al 2021, la spesa per la Difesa degli stati membri dell’Ue è aumentata del 20 per cento contro il 66 per cento degli Stati Uniti, il 292 per cento della Russia e il 592 per cento della Cina. Ci sono tre priorità: ricostituire gli stock di armi (in parte svuotati dalle forniture all’Ucraina), sostituire i sistemi di èra sovietica (cosa che in parte sta avvenendo con i trasferimenti da parte dei paesi dell’est di armi pesanti all’esercito di Kyiv) e rafforzare i sistemi di difesa aerea e missilistica. L’Ue istituirà una task force per acquisti comuni e la Commissione  metterà 500 milioni di euro per incentivare la collaborazione nel settore. Nel più lungo periodo, la Commissione chiede di lavorare in modo congiunto sulle capacità di difesa aeree, terrestri, marittime, spaziali e cyber. La task force dovrebbe continuare il lavoro con un quadro europeo per gli acquisti comuni nella Difesa anche per gli investimenti di lungo periodo.  Laddove possibile, la Commissione vuole creare un sistema di preferenza europea. Gli stati membri che formeranno dei “consorzi europei di capacità di difesa” per fare acquisti comuni di sistemi di armamenti sviluppati in modo  collaborativo beneficeranno dell’esenzione dall’Iva. Il commissario Thierry Breton, che vede sempre in grande, vuole una “programmazione strategica congiunta per rafforzare la base industriale, sostenendo l’accesso a materie prime e critiche” e una “visione prospettiva di grandi progetti come il Cyberscudo, la protezione dello spazio aereo, la protezione dello spazio e la protezione dello spazio marittimo”. 


Quando Putin dice che l’adesione alla Nato di Finlandia e Svezia non lo preoccupa granché, mente. E infatti subito dopo ferma le forniture di elettricità e di gas, salvo sentirsi dire dai leader svedesi e finlandesi e anche dagli europei che hanno messo mano in modo vigoroso alla tanto chiacchierata e finora poco attrezzata difesa europea: lo avevamo messo in conto, siamo pronti. 


(ha collaborato David Carretta)