24 febbraio 2022-24 febbraio 2023

La Russia di oggi potrebbe essere la Cina di domani

Giulia Pompili

Così la regione dell’Indo-pacifico cuce una nuova alleanza, badando a confini e terre contese

Durante la sua missione in India della prossima settimana, come ospite d’onore del Raisina dialogue, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni discuterà con il governo indiano anche di un accordo bilaterale tra Italia e India di collaborazione nel settore della Difesa. Neanche tre mesi fa, l’esecutivo Meloni è entrato in un programma di Difesa trilaterale, con Regno Unito e Giappone, chiamato Global Combat Air Programme, che servirà alla creazione del Tempest, un aereo da caccia di nuova generazione entro il 2035. “A breve”, ha annunciato qualche settimana fa a Formiche il capo di stato maggiore della Marina, l’ammiraglio Enrico Credendino, il Francesco Morosini, il pattugliatore d’altura della nostra Marina, “si addestrerà insieme agli alleati e alle marine amiche nell’Indo-Pacifico”. Fino a poco tempo fa l’Italia è stata il paese europeo, e membro del G7, meno impegnato nell’area del Pacifico soprattutto nel settore della Difesa. Da un lato la tendenza a privilegiare i rapporti con la Cina aveva fatto preferire un certo disimpegno da operazioni che avrebbero potuto avere conseguenze sul piano politico. D’altra parte, dal punto di vista militare (e marittimo) l’Italia ha una priorità strategica legata soprattutto alla geografia: il Mediterraneo. E investire nella sicurezza del quadrante dell’Indo-Pacifico è impegnativo, anche economicamente. Del resto la Francia è il primo paese europeo per presenza anche militare nell’area, èd è anche quello che ha interessi diretti nella regione: i territori francesi d’oltremare. Per tutti gli altri si tratta di cooperazioni, partnership spesso considerate troppo costose e senza un reale interesse strategico. Ma adesso qualcosa è cambiato.

  

Sin dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, l’alleanza occidentale, soprattutto in sede Nato, ha cominciato a discutere in modo molto più operativo della necessità di mostrarsi uniti e forti non solo sul fronte orientale d’Europa, ma anche nell’area del Pacifico, con un paese in mente: la Cina. Sono ormai più di dieci anni che a Tokyo si discute della crescente assertività cinese nell’area. Perché la Repubblica popolare cinese non ha più soltanto la forza economica per poter esercitare un’influenza politica e diplomatica sui paesi vicini e sul resto del mondo. Pechino, in alcune delle zone dell’Asia, rivendica territori, vuole cambiare lo status quo, e ha “i mezzi economici e militari per farlo”, si legge nel più recente documento strategico di sicurezza americano. Fino a qualche anno fa le Forze armate cinesi non facevano paura, non avevano un effetto di deterrenza nei confronti dei paesi su cui esercitava le sue pressioni e influenze. Ma l’arrivo del leader Xi Jinping e la sua spinta a modernizzare esercito, marina e armamenti a disposizione della Cina ha stravolto la situazione. 

 


All’inizio di febbraio una nave della Guardia costiera filippina stava pattugliando un atollo delle isole Spratly, nel Mar cinese meridionale. All’improvviso una nave cinese ha approcciato quella filippina, arrivando a poco più di centotrenta metri di distanza, bloccandogli il passaggio e poi puntando un laser militare contro l’equipaggio filippino, rendendo temporaneamente cieco qualcuno. E’ stata la prima volta in cui l’atteggiamento cinese provocatorio, sempre al limite dell’escalation, è passato a un atteggiamento propriamente aggressivo. Il motivo di questo cambiamento ha a che fare indirettamente con la guerra in Ucraina: alla conferenza sulla sicurezza di Monaco, due settimane fa, il nuovo presidente filippino, figlio dell’ex dittatore, Ferdinand Marcos Jr., ha detto che il Mar cinese meridionale lo tiene sveglio “giorno e notte”. A differenza del suo predecessore Rodrigo Duterte, Marcos è stato in visita di stato a Pechino, ha incontrato Xi Jinping, ma subito dopo ha riattivato il dialogo su numerosi tavoli con l’America e ha annunciato che permetterà alle truppe americane di accedere a quattro ulteriori siti militari nel paese. 

 


Da più di un decennio la Cina ha formalizzato le sue rivendicazioni nel Mar cinese meridionale – e non solo – attraverso un’interpretazione della geografia non riconosciuta a livello internazionale. Dentro alla cosiddetta “linea dei nove punti” c’è praticamente tutto il Mar cinese meridionale (che rappresenta un terzo del commercio marittimo globale) e parte del Mar cinese orientale, cioè quello che si estende fino all’isola di Taiwan – l’isola autogovernata e de facto indipendente che la Repubblica popolare cinese rivendica come proprio territorio. Nel 2016 un tribunale arbitrale ha dato ragione alle Filippine e ha smontato punto per punto le rivendicazioni cinesi. Pechino ha risposto come fa spesso, quando le decisioni sovranazionali vanno contro i suoi interessi: non riconosciamo questa istituzione. E per anni ha continuato a costruire isole e basi militari nell’area, in una strategia sul lungo periodo che mirava all’abbandono delle rivendicazioni da parte degli altri paesi coinvolti (le Filippine, ma anche il Vietnam, l’Indonesia, la Malaysia, il Brunei). Si chiama tattica del salami slice: lentamente, senza azioni eclatanti, facciamo a fette, come un salame,  l’ordine precostituito. 

 


Il Mar cinese meridionale è solo un pezzo della destabilizzazione dell’Indo-Pacifico accelerata dalla guerra in Ucraina, e a cui i partner asiatici vogliono rispondere costruendo alleanze che anticipino eventuali conflitti. Non si tratta soltanto di una eventuale invasione di Taiwan (forse la meno probabile, ma nessuna ipotesi è esclusa dal tavolo, da un anno a questa parte). Qualche mese fa il Giappone ha deciso di riarmarsi, la prima decisione di questo peso sin dal Dopoguerra, l’America sta aumentando la fornitura di armamenti e l’addestramento delle truppe di Taiwan. L’India aumenta l’attenzione sulla destabilizzazione portata avanti dalle truppe di Pechino sul confine himalayano. Mentre Russia e Cina si sostengono a vicenda ideologicamente, fanno da megafono l’un l’altra della propaganda e della disinformazione, procedono anche  con esercitazioni militari congiunte sempre più frequenti, sempre più provocatorie, i partner dei paesi asiatici, quelli della Nato, europei, americani, si mostrano anche nell’Indo-Pacifico. Il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, presidente di turno del G7, ha già fatto un tour tra gli alleati occidentali per dire: la Russia di oggi potrebbe essere la Cina di domani. Il riarmo e la militarizzazione del Pacifico è un messaggio per la leadership di Xi Jinping: i costi di un sostegno alla Russia e di un conflitto più esteso sarebbero troppo gravi, anche per Pechino. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.