Vladimir Putin (LaPresse)

Le strategie del cremlino

Perché la Russia è costretta ad aumentare le tasse sulle  imprese

Federico Bosco

Putin ha bisogno di soldi per finanziare l’invasione dell’Ucraina: così a Mosca si parla di un aumento del carico fiscale sulle grandi aziende, a cui si chiedono trasferimenti “volontari, gratuiti e legalmente facoltativi”

La Russia ha bisogno di soldi per finanziare l’invasione dell’Ucraina e il conflitto con l’occidente ma non sa più dove prenderli. Finora solo i grandi esportatori, e quindi le grandi aziende statali dell’energia, dovevano compensare il deficit di bilancio dovuto all’aumento delle spese di guerra e alle ricadute delle sanzioni occidentali. Per esempio, l’anno scorso il Cremlino ha impedito a Gazprom di pagare i dividendi e ha prelevato più di 1 trilione di rubli dalla società minerarie con l’incremento una tantum della tassa sull’estrazione (una sorta di “tassa sugli extraprofitti” in salsa russa), ma l’aumento crescente della spesa militare continua a mandare in rosso il bilancio.

Adesso a Mosca si sta parlando di un aumento del carico fiscale sulle grandi aziende che sta avvicinando la resa dei conti di una trattativa stato-imprese iniziata quasi tre mesi fa. A dicembre infatti il Cremlino aveva proposto all’Unione degli industriali e degli imprenditori russi (Rssp) di destinare circa 200 miliardi di rubli al tesoro federale (circa 2,5 miliardi di euro) come “contributo volontario una tantum”, una somma che secondo fonti russe era già il risultato di una trattativa tra la Rssp e i funzionari del ministero delle Finanze, che partivano con la richiesta di una cifra vicina al doppio. Per gli industriali questi contributi volontari sono inaccettabili e ritengono che sia meglio aumentare, di poco, l’imposta sul reddito per tutti i russi.  

La posizione del Cremlino però non è cambiata, alle grandi imprese si chiedono trasferimenti “volontari, gratuiti e legalmente facoltativi” senza chiamare in causa le piccole e medie imprese. L’idea è che il sistema fiscale non deve cambiare, solo le imprese con “grandi eccedenze di utili” saranno chiamate a pagare degli extra. Il presidente della Rssp, Alexander Shokhin, in precedenza si è rifiutato di commentare la situazione, ma venerdì scorso ha fornito alle agenzie di stampa un commento dettagliato in cui si sottolinea che dopo una discussione iniziata a dicembre “le aziende sono giunte alla conclusione che quanto richiesto non è fattibile”. 

Ma secondo fonti del Kommersant il governo ha intenzione di insistere con l’idea di un “contributo fiscale volontario” solo per le grandi imprese, nella misura in cui si può insistere su un’opzione facoltativa e parlare di contributo “volontario” in un paese come la Russia, dove alle persone che risultano troppo sgradite al Cremlino possono capitare strani e tragici incidenti.

La Russia si trova quindi nella palude di una surreale trattativa tra lo stato e le grandi imprese sul come trovare fondi per finanziare una guerra che sta distruggendo le sicurezze macroeconomiche del paese, con il primo che chiede ai secondi un contributo patriottico dalle loro ricchezze, e i secondi che chiedono invece di aumentare le tasse per tutti. La questione sta diventando sempre più politica e sta aprendo una ferita nel sistema di potere costruitosi durante il ventennio putiniano, colpito profondamente dalle conseguenze di un anno di guerra destinata a durare, e da sanzioni che oltre a non essere rimosse diventeranno sempre più pervasive.  

L’economia russa ha resistito al primo anno di sanzioni ed è entrata nel 2023 in condizioni migliori del previsto essenzialmente grazie a tre fattori: gli incassi elevati dovuti ai prezzi alti del petrolio e del gas naturale nella prima metà del 2022, gli acquisti di energia (decrescenti ma consistenti) dei paesi europei, e l’aumento massiccio delle importazioni di Cina e India di barili petrolio russo (se pur venduti a prezzi molto scontati). 

Non tutti questi fattori si ripeteranno anche quest’anno. Se nel 2022 le sanzioni colpivano prevalentemente le importazioni, nel 2023 riguarderanno le esportazioni. Con l’entrata in vigore del price cap e l’embargo dell’Unione europea al petrolio e ai prodotti petroliferi russi, e la drastica riduzione delle importazioni di gas russo, nel secondo anno di guerra la Russia sarà colpita direttamente nelle sue principali fonti di entrate. Ma la volontà dei padroni del Cremlino di sacrificare il futuro della Russia non va sottovalutata, Vladimir Putin è disposto a cannibalizzare fino all’ultimo pezzo dell’economia russa pur di continuare la guerra.
 

Di più su questi argomenti: