L'unica cosa che conta è restare uniti. L'arte di Biden nel cucire e ricucire l'alleanza pro Ucraina

Paola Peduzzi

Così due “no” hanno prodotto un “sì” unito a sostegno di Kyiv. E la scommessa di Vladimir Putin sull'incapacità dell'occidente di rimanere saldo si è rivelata sbagliata

Di tutti i calcoli sbagliati di Vladimir Putin il più grande è la scommessa sull’incapacità dell’occidente di rimanere unito a lungo. Il presidente non ammette alcun errore, naturalmente: riorganizza le truppe, cambia i vertici, mobilita in modo coercitivo uomini russi che non vogliono fare questa guerra (a volte non sanno nemmeno cos’è, questa guerra), bombarda indiscriminatamente l’Ucraina (ancora ieri la capitale Kyiv), denuncia la guerra dell’occidente, della Nato, contro la Russia, evoca l’arma nucleare e infierisce su ogni divisione degli alleati di Volodymyr Zelensky. Ma più intensifica i suoi attacchi, più l’occidente si unisce e si accorda su cose inimmaginabili soltanto poco tempo fa, come l’invio di carri armati sul campo ucraino. Non siamo in guerra con la Russia, ripetono gli occidentali, e Putin e i putiniani s’indignano, ma gli occidentali insistono, come ha fatto due giorni fa Joe Biden: “Non c’è una minaccia offensiva contro la Russia. Se le truppe russe ritornassero nel loro paese, dove dovrebbero stare, questa guerra finirebbe oggi”. Putin può smettere di attaccare, ma l’Ucraina non può smettere di difendersi fino a che Putin attacca: la dinamica di questo conflitto è piuttosto chiara. Di straordinaria c’è piuttosto la capacità dell’occidente di rimanere unito: il presidente russo ci ha scommesso contro, ma neppure noi occidentali eravamo così sicuri della tenuta di un’unità che si è costruita, con difficoltà, nel tempo. Ogni frattura è vista come un pericolo, ed è per questo che la sapienza con cui Biden ha detto: conta solo l’unità, supera e annulla la discussione sulla riluttanza tedesca a inviare i carri armati Leopard.  

 

I giornali internazionali stanno ricostruendo i retroscena dei colloqui e dei negoziati tra americani e tedeschi che hanno portato alla decisione di aiutare l’Ucraina anche con i carri armati. Olaf Scholz, cancelliere tedesco, pareva irremovibile: nonostante le pressioni interne dei suoi alleati di coalizione e quelle di europei e americani  – pressioni enormi, opprimenti – soltanto una settimana fa Scholz era ancora contrario all’invio dei Leopard suoi e dei paesi europei che li hanno nei loro arsenali. Poi ha introdotto una condizione: se gli americani mandano i carri armati Abrams, noi liberiamo i Leopard. Così, ha detto il presidente dell’Spd Lars Klingbeil, “nessun paese deve affrontare da solo le accuse del Cremlino, queste minacce verbali aggressive che continuiamo a sentire”. Anche Joe Biden era contrario a mandare i carri armati Abrams, per ragioni diverse da quelle di Scholz: i consiglieri militari e il Pentagono ripetevano che questi sono mezzi di difficile manutenzione, che consumano molto carburante e che creano complicazioni logistiche. Gli ucraini stessi non avevano preso bene questa esitazione, ma al vertice di Ramstein del 20 gennaio, una settimana fa, americani e tedeschi si sono presentati comunque con i loro no ai carri armati, nonostante le telefonate intercorse tra Biden e Scholz e quelle tra i ministri e i consiglieri dei due paesi. Intanto le pressioni sul cancelliere tedesco perché almeno consentisse agli altri paesi europei di inviare i Leopard agli ucraini hanno trovato una portavoce d’eccellenza, la ministra degli Esteri Annalena Baerbock, che anticipando il governo ha detto: non opporremo più resistenza. Di lì a poco, anche il cancelliere ha dovuto far cadere almeno quel divieto. 

 

Poi Biden ha capito che non avrebbe convinto Scholz a inviare i suoi Leopard, ma che l’obiettivo da perseguire era un altro, più ampio: “Alla fine – scrive Politico – Biden ha deciso che era più importante mostrare un fronte unito e inviare i carri armati (...). Il presidente ha concluso che era importante muoversi in sincrono con un alleato, nonostante i dubbi del Pentagono, e mettere fine alla discussione”. Così gli Stati Uniti hanno sbloccato gli Abrams, e i tedeschi hanno potuto  dire: ora li mandiamo anche noi, e l’asse con Washington è forte. Nella conferenza stampa dell’annuncio, Biden non ha indugiato sul processo decisionale, su quali pressioni hanno avuto più successo, sugli equilibri dell’alleanza: “La Germania non mi ha costretto a cambiare idea, vogliamo che sia chiaro che siamo tutti insieme”. E ancora: “Putin si aspettava che l’Europa e gli Stati Uniti indebolissero la loro determinazione, che il nostro sostegno all’Ucraina crollasse con il tempo. Si sbagliava. Si sbagliava all’inizio e continua a sbagliare. Noi siamo uniti”. Due riluttanze, di Scholz e di Biden,  hanno prodotto un movimento compatto, in cui non è interesse degli alleati sottolineare le differenze. Questo interessa solo a Putin.  

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi