La rete del Cremlino

C'è un filo rosso tra le interferenze russe in occidente e le bombe in Ucraina

Paola Peduzzi

L’arresto di un ex dell’Fbi riapre uno squarcio su quel mondo sulfureo che ha a che fare con le politiche di destabilizzazione di Vladimir Putin in occidente. Dai trumpiani al Donbas, passando per gli oligarchi e la polizia federale 

Charles McGonigal, ex agente speciale dell’Fbi che si è occupato del Russiagate e delle indagini sugli oligarchi russi negli Stati Uniti, è stato arrestato sabato dai suoi ex colleghi: è accusato di aver lavorato, dopo essere andato in pensione dall’Fbi nel 2018,  con l’oligarca russo Oleg Deripaska, che è stato sanzionato per aver interferito nelle elezioni presidenziali americane del 2016, e di aver ricevuto 225 mila dollari da emissari di  servizi segreti stranieri quando era ancora un agente dell’Fbi. McGonigal si è dichiarato non colpevole, ma il suo arresto ha riaperto uno squarcio su quel mondo sulfureo che ha a che fare con le politiche di destabilizzazione di Vladimir Putin in occidente. In questo caso c’è dentro tutto: ci sono le interferenze russe nella politica americana, c’è il ruolo dell’Fbi, e c’è il piano ben concertato di Putin per conquistare l’Ucraina già dal 2014 e scuotere gli equilibri dell’occidente per ritrovarselo disunito nel momento del confronto in corso in quest’ultimo anno. 

 

McGonigal, cinquantaquattro anni e una solida carriera nella controintelligence americana, è stato arrestato all’aeroporto di New York assieme a un ex diplomatico sovietico e russo, Sergei Shestakov, che oggi lavora come interprete in un tribunale a Brooklyn e ha la cittadinanza americana. McGonigal era stato tra i primi agenti dell’Fbi a venire a conoscenza del fatto che l’ex consigliere di Donald Trump, George Papadopoulos, aveva detto a un diplomatico australiano di avere “political dirt” riguardo a Hillary Clinton, che era candidata alla presidenza contro Trump. Era il luglio del 2016 e questa è l’informazione  che di fatto ha dato il via, l’anno successivo, all’inchiesta nota come Russiagate, che indagava le interferenze russe nella campagna elettorale americana del 2016 e la possibile collusione (non dimostrata) di Trump con agenti russi. Il nome di McGonigal è anche il primo in una lista di uomini dell’Fbi che ricevettero nell’ottobre del 2015 un “briefing difensivo riservato” dato agli avvocati della campagna presidenziale della Clinton riguardo ai tentativi da parte di un governo straniero non identificato di influenzare la campagna attraverso “lobbying e contributi”. Insomma, secondo i trumpiani, McGonigal faceva parte del team dell’Fbi che si è accanito contro Trump, tanto che il New York Post, tabloid murdochiano, ha messo il volto dell’ex agente in prima pagina ironizzando sul fatto che il cacciatore di collusi con la Russia risultasse oggi a sua volta colluso. 

 

Il collegamento è Oleg Deripaska, l’oligarca russo che ha fondato la Rusal, la grande corporation che produce alluminio, e che è stato a lungo sospettato di avere collegamenti con il crimine organizzato. Deripaska era cliente di Paul Manafort, che per qualche mese aveva guidato (gratis), nel 2016, la campagna elettorale di Trump e che nel 2018 è stato condannato per frodi finanziarie. Manafort era anche consigliere dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich e ha lavorato in seguito all’invasione russa dell’Ucraina nel 2014 a un piano per la costituzione della Repubblica autonoma del Donbas: Manafort aveva organizzato alcuni sondaggi per testare la popolarità di Yanukovich in quella regione. Da una ricostruzione di ProPublica, mancava soltanto “un cenno” del presidente americano (Trump) perché quel progetto fosse messo in atto. Spesso ci dimentichiamo che il primo impeachment di Trump nasceva da una richiesta dell’allora presidente a Volodymyr Zelensky: dammi materiale compromettente sul figlio di Joe Biden, Hunter, altrimenti sospendo gli aiuti militari all’Ucraina – aiuti che servivano per contrastare la presenza dei russi nel territorio ucraino. 

 

L’arresto di McGonigal oggi riaccende la luce su questioni che sono sempre state trattate in modo indipendente rispetto alle mire di Putin in Ucraina e che invece erano connesse. L’ex agente è accusato di aver fatto affari con Deripaska quando non era più un dipendente dell’Fbi, anche se il primo contatto ci sarebbe stato, secondo l’accusa, quando ancora non si era dimesso: lo avrebbe aiutato ad aggirare le sanzioni e a fare ricerche su un oligarca rivale. Il suo arresto appare come un monito riguardo ai pericoli che si corrono a fare affari con persone sotto sanzioni: negli scorsi mesi il dipartimento di Giustizia  ha fatto causa a molte di queste persone, in particolare quelle che hanno a che fare con il Cremlino. E’ un modo per far funzionare le sanzioni, e aiutare l’Ucraina. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi