Gli alleati della tirannia

Medvedev va da Xi Jinping con un messaggio di Putin in tasca

Micol Flammini

Il Cremlino risponde al viaggio di Volodymyr Zelensky a Washington parlando a Pechino di armi nucleari e spera che l'alleanza tra tiranni possa tenere in vita il progetto d'invasione

Dmitri Medvedev era quasi scomparso prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Presidente della Russia, poi premier, infine vicepresidente del Consiglio di Sicurezza ha trovato il suo posto nel putinismo dimostrando una fede incrollabile nella potenza bellica di Mosca, un odio granitico nei confronti dell’occidente e una facilità preoccupante nella minaccia di attacchi nucleari. Vuole essere il capo dei più falchi e visto che finora Vladimri Putin, quando ha dovuto scegliere un successore nel 2008, fece il suo nome, cerca di dimostrare di essere ancora il suo possibile delfino. Mentre Volodymyr Zelensky era Washington a incontrare il primo degli alleati, Joe Biden, Medvedev era stato invitato a Pechino per un incontro con il presidente cinese, Xi Jinping. L’ex presidente ha portato a Pechino un messaggio di  Putin che, a detta dell’agenzia di stampa Tass, “ha rilevato il livello senza precedenti del dialogo politico russo-cinese e  della cooperazione”. A Mosca sono state fatte molte ipotesi sul contenuto del messaggio, hanno iniziato a circolare  illazioni che si soffermavano su quattro opzioni in particolare: una richiesta economica, una richiesta di armi, un avvertimento oppure la richiesta di autorizzare il coinvolgimento della Corea del nord nella guerra in Ucraina. Non ci sono state conferme. 

 

Per il  Cremlino, tra tutti gli alleati, quello cinese rimane il più controverso. Nelle settimane dopo l’incontro tra Putin e Xi nel febbraio scorso, alcuni commentatori  russi si erano lamentati del fatto che il presidente stesse sottovalutando la Cina, non avesse capito fino in fondo quanto cara per Mosca si sarebbe potuta rivelare l’amicizia. Eppure, dopo l’attacco contro l’Ucraina  e la risposta decisa dell’occidente, gli stessi commentatori   avrebbero scommesso sulla possibilità che Pechino rinunciasse al suo sostegno alla Russia. Non è successo e ieri sono iniziate anche le esercitazioni militari congiunte nel Mar cinese orientale, a trecentocinquanta chilometri dallo Stretto di Taiwan. Le manovre di “interazione marittima”, tradotte “Joint Sea” in inglese e  in russo  “Morskoe vzaimodejstvie 2022”, dureranno una settimana, sono una prova di disponibilità da parte di Mosca  e  una delle dimostrazioni degli interessi paralleli tra le due nazioni, della prontezza a perseguire gli interessi insieme  contro l’occidente: l’Ucraina e Taiwan. Per la Tass, Xi e Medvedev “hanno notato l’ampia convergenza negli approcci di Mosca e Pechino alle questioni più urgenti del mondo e hanno toccato il coordinamento strategico della politica estera”: la visione è una e indissolubile. 

 

Secondo i media russi Putin e Xi potrebbero incontrarsi a fine dicembre e la visita di Medvedev, con il messaggio del presidente russo in tasca, potrebbe essere stata preparatoria. Il  viaggio di Zelensky a Washington ha avuto un effetto molto forte sul capo del Cremlino che ieri ha incontrato alcune alte cariche militari assieme al ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Ha approfittato dell’incontro per dire che la Russia continuerà a sviluppare il suo potenziale militare e la prontezza delle sue forze nucleari, che “aumentano  ogni giorno”. Putin è in un periodo di iperattività. Ha rinunciato agli impegni consueti di fine anno, ma ci tiene a far sapere che è a lavoro, che viaggia, che incontra leader e soldati. Che mai come in questo momento è alla guida della sua “operazione militare speciale”. Si riorganizza mentre percepisce che la guerra non va come aveva sperato e che probabilmente, agli occhi dei suoi avversari, il suo esercito fa meno paura, per questo, come in ogni momento di debolezza, ha ricominciato a parlare di armi nucleari. Ha poi sciorinato le novità del suo arsenale: il missile ipersonico Zircon che potrà essere utilizzato da gennaio a bordo della fregata Admiral Gorshkov. Al suo fianco, Shoigu, le cui dimissioni vengono invocate settimanalmente e che sembrava potesse diventare il capro espiatorio delle sconfitte, ha detto che Mosca pianifica di utilizzare i porti occupati del Mare di Azov: “I porti di Berdyansk e Mariupol sono pienamente funzionanti. Abbiamo in programma di schierare basi per navi di supporto, servizi di soccorso di emergenza e unità di riparazione navale”. Il Cremlino spera che l’alleanza tra tiranni potrà tenere in vita il progetto di invasione.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.