Ali Khamenei (LaPresse) 

Dentro Sadr City

Così si è allargata l'influenza iraniana in Iraq, tra gran rifiuti e conflitti 

Claudia Cavaliere

Le dimissioni del blocco dei sadristi dal Parlamento hanno consentito ai membri del Quadro di coordinamento di sostituirli: secondo la Costituzione, quando chi vince le elezioni si ritira, il blocco successivo per numero di voti ne prende il posto. Questa volta, la maggior parte dei candidati proveniva dalla coalizione sostenuta dall’Iran

Sadr City, Baghdad. Sulla sponda orientale del fiume Tigri si trova il sobborgo più popoloso di Baghdad: tre milioni di persone, si dice, ma il numero esatto non lo conosce nessuno. Il distretto si snoda su un impianto a griglia che conta 79 blocchi di case fatiscenti. Sadr City una volta si chiamava Saddam City: è stata ribattezzata dopo il crollo del regime ed è diventata la roccaforte del leader sciita Moqtada al Sadr, erede della dinastia da cui il distretto ha preso il nuovo nome. Alle elezioni del 10 ottobre 2021, il blocco sciita sadrista aveva ottenuto la maggioranza dei voti – 73 seggi parlamentari che non erano sufficienti per formare un governo. La composizione dell’esecutivo ricorda la formula disfunzionale già vista in Libano: il sistema etnico-settario di condivisione del potere tra sciiti, sunniti, curdi e cristiani.

Quel modello, ha detto al Foglio Jaleel al Sarki, imam della moschea del Profeta a Sadr City e molto legato allo stesso Sadr, “ha contribuito alla corruzione e al proliferare delle influenze esterne sui governi nati dopo il crollo del regime, approvando agende per servire interessi globali a cui fa comodo che l’Iraq e la regione non siano stabili. Per questo Sadr ha insistito durante le elezioni per avere un governo di maggioranza nazionale, non un governo di maggioranza politica”. Sadr ha cercato di riscrivere il gioco politico a suo vantaggio, escludendo i rivali sciiti soprattutto per le inimicizie personali di lunga data con l’obiettivo di formare un’alleanza con i blocchi sunniti e curdi, ma senza successo. Così ha annunciato che i suoi deputati avrebbero rinunciato ai loro seggi e lui, per la sesta volta, alla politica. 

 

Sadr è noto per le battaglie contro i soldati americani e una strenua lealtà da parte dei suoi seguaci. Dal 2003, il religioso si è posizionato in vari modi come leader di una milizia settaria, una figura rivoluzionaria e un nazionalista che può unificare il paese. A volte, questo vantaggio è stato ottenuto grazie al sostegno iraniano; più di recente, grazie a quello occidentale. Anche senza più seggi in Parlamento, Sadr conserva una vasta influenza nel governo e il suo popolo occupa posizioni di potere ovunque. Le dimissioni del blocco dei sadristi dal Parlamento hanno consentito ai membri del Quadro di coordinamento di sostituirli: secondo la Costituzione, quando chi vince le elezioni si ritira, il blocco successivo per numero di voti ne prende il posto. Questa volta, la maggior parte dei candidati proveniva dalla coalizione sostenuta dall’Iran, che negli ultimi anni, unendosi nel Quadro di coordinamento, ha preso il sopravvento sui gruppi sostenuti dagli Stati Uniti. “L’Iran ha lavorato a una strategia su diversi livelli per limitare Sadr una volta che ha vinto le elezioni e ha chiesto un governo a maggioranza nazionale in cui le forze del Quadro di coordinamento, appoggiate da Teheran, non erano benvenute. Uno dei momenti più complessi è stato quando l’Iran è riuscito a minacciare gli alleati curdi e sunniti di Sadr, isolandolo e forzandolo ad abbandonare l’idea di formare il governo e la politica. L’Iran è la mente, non possiamo ignorare questo fatto”, dice Ihssan al Shammari, analista politico e professore di Scienze politiche all’Università di Baghdad. 

 

Quando in estate i sadristi sono entrati nella Green Zone, l’area sorvegliata in cui si trovano gli edifici governativi iracheni ma anche le rappresentanze internazionali, Sadr aveva perso la chiave della sua legittimazione per poter svolgere le funzioni politiche oltre che religiose: il suo Marja’ si è dimesso. In Iraq gli sciiti seguono due ayatollah: uno è l’autorità del principale centro religioso sciita iracheno di Najaf, Ali al Sistani, e l’altro era il padre di al Sadr, l’ayatollah Muhammad Muhammad Sadiq al Sadr. Prima della sua morte, Sadr aveva invitato i suoi discepoli così come suo figlio a ispirarsi all’ayatollah Kazem al Haeri basato nella città di Qom. Ma questi ad agosto ha annunciato le sue dimissioni – fatto molto inusuale e il suo suggerimento è stato quello di seguire la Guida suprema iraniana Ali Khamenei.

Per le strade di Baghdad, dall’aeroporto al centro, alla rotonda di fronte all’ambasciata americana e nel paese all’interno delle zone in cui il controllo delle Forze di mobilitazione popolare è più forte, si vedono le gigantografie del generale iraniano Qasem Soleimani e Abu Mahdi al  Muhandis, morti nel blitz a Baghdad del 2020 deciso dall’Amministrazione Trump. La presenza iraniana si sta facendo spazio attraverso le forze che hanno preso il controllo di quella porzione di territorio che dall’Iran attraversa le regioni irachene di Diyala e Anbar – dove è arrivata nel 2014, nel corso della guerra contro lo Stato islamico – alla Siria, al Libano di Hezbollah.
 

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