I complotti da 500 milioni di dollari di Pechino per schiacciare le proteste

Priscilla Ruggiero

Il Partito comunista ha risposto alle richieste politiche dei manifestanti mettendole di fatto a tacere. Nei confronti della politica Zero Covid invece ci sono "segnali di apertura"

Roma. Le manifestazioni in Cina contro la politica Zero Covid hanno messo a dura prova il Partito, che fin dai primi momenti ha risposto alle richieste politiche mettendole di fatto a tacere: i campus universitari sono stati chiusi e gli studenti sono stati mandati a casa con l’obiettivo di evitare ulteriori assembramenti e disinnescare le tensioni. Le autorità da giorni hanno messo in atto una politica di rintracciamento dei manifestanti più “pericolosi” che hanno partecipato alle proteste e sono entrati nelle loro case con visite  intimidatorie. Un’altra tattica del governo è quella di diffondere la propaganda nazionalista delle “forze ostili esterne” dietro alle rivolte (che i manifestanti durante le proteste hanno negato a più riprese, chiedendo: “Dove sono queste forze esterne?”, e: “Non siamo forze esterne ma interne, siamo giovani cinesi”).

 

Fa parte di quest’ultima tecnica cercare di diffondere teorie del complotto che diano un’ulteriore conferma alla tesi “è tutta colpa dell’occidente”: dopo i giorni di fermento, su Weibo, il principale social network cinese, sono iniziati a circolare screenshot di gruppi Telegram che mostrano messaggi di persone che chiedono di essere pagate 80 yuan (10 euro circa) per andare a protestare. I commentatori filogovernativi hanno subito ripreso la notizia sulle proprie pagine social diffondendo la notizia che gli Stati Uniti avrebbero finanziato le proteste anti Covid della scorsa  settimana con un budget da 500 milioni di dollari che arriverebbe direttamente dal Congresso americano e servirebbe per agitare l’opinione pubblica contro il governo cinese. In un video, sempre diffuso dagli utenti pro Pechino,  si vede un ragazzo, “l’agente straniero”, offrire 500 yuan (70 euro) a una persona per protestare con alle spalle una camionetta della polizia. A cambiare è solo la teoria del complotto, ma l’imputato ultimo secondo Pechino è sempre lo stesso: gli Stati Uniti. 

 

Se la teoria dell’interferenza straniera nelle proteste con un budget di 500 milioni di dollari è  senza fondamenta, l’interferenza di Pechino sui social stranieri  e non è stata più volte  accertata, anche negli scorsi giorni: su Twitter   le notizie delle proteste sono state coperte da centinaia di profili che hanno pubblicato contenuti pornografici  associati ai nomi delle città in cui ci sono state le rivolte e su TikTok, l’app di proprietà cinese, moltissimi account gestiti dal braccio della propaganda del regime propongono video contro gli Stati Uniti che raccolgono decine di milioni di visualizzazioni, senza etichette chiare che rivelino la reale provenienza: il Partito comunista cinese. Non è un caso quindi che poche ore dopo le prime proteste il governo cinese avesse già iniziato a promettere di “reprimere risolutamente le attività di infiltrazione e sabotaggio di forze ostili”. 

 

Rispetto alle richieste specifiche contro la politica Zero Covid, sembra invece che le proteste abbiano contribuito a fare pressione sul governo centrale: in questi giorni il Partito sta allentando la presa sulle rigide norme anti Covid rinnovate con vigore soltanto poche settimane fa –  quattro giorni fa il governo aveva detto che avrebbe intensificato gli sforzi per far rispettare l’agenda sulla politica Zero Covid recentemente “ottimizzata”. Giovedì la vice premier Sun Chunlan, che è stata il volto dell’applicazione della politica Zero Covid, ha  dichiarato ai funzionari sanitari che il paese sta affrontando una “nuova fase e missione” nei confronti della pandemia. Dopo anni di diffusione di notizie volte a aumentare il timore della popolazione, dai rischi per gli anziani agli effetti del “long Covid”, ieri persino il Global Times, il tabloid statale in lingua inglese, scriveva in un editoriale che la variante omicron non sarebbe poi così seria e che “le possibilità di long Covid sono molto più basse”. Non è un cambio di rotta della Cina nei confronti del Covid, ma un zou xiao bu bu tingbu,  piccoli passi senza sosta, ha detto Sun Chunlan.