Foto di Chinatopix, via AP, via LaPresse 

proteste sul web

Lo scontro in Cina è anche tech. I mezzi della piazza e quelli di Xi

Pietro Minto

I manifestanti sono stati capaci di aggirare il Firewall della censura cinese, ma il governo sa usare la sorveglianza digitale. Al posto di WeChat si usano i Vpn e Telegram e in generale un modello di comunicazione decentralizzato

Almeno tre delle persone che avevano partecipato alla protesta contro le restrizioni anti Covid che si è tenuta a Pechino negli ultimi giorni, e in molte altre città cinesi, sono state prelevate direttamente a casa loro, lo scorso lunedì. Altre hanno ricevuto telefonate dalla polizia e sono state interrogate. Qualcosa di simile, secondo The Straits Times, sarebbe successo anche a Shanghai, dove alcuni manifestanti sono stati fermati la domenica sera. A rendere queste manifestazioni importanti è stata la grande partecipazione popolare e la loro diffusione geografica, che sembra dimostrare una capacità di organizzazione capace di aggirare il Great Firewall che monitora e censura il web cinese.

 

Allo stesso modo, però, la repressione del regime è stata in grado di individuare velocemente alcuni dei manifestanti, rintracciandoli nelle loro abitazioni, a conferma di quanto il governo di Pechino sia in grado di sorvegliare il dissenso attraverso la sorveglianza digitale. “Stiamo tutti cancellando disperatamente la nostra cronologia delle chat”, ha dichiarato un anonimo manifestante a Reuters, dopo che per alcuni giorni le proteste si sono diffuse anche attraverso la creazione e condivisione di meme, come l’idea di manifestare mostrando fogli di carta completamente bianchi.

 

Le comunicazioni su WeChat, il principale social network cinese, sono ridotte al minimo: si preferiscono usare i Vpn (un tipo software che protegge e nasconde la presenza online di chi lo usa) e applicazioni come Telegram, che sono già state d’enorme importanza per le proteste di Hong Kong. La polizia cinese ha preso l’abitudine di controllare i dispositivi dei sospetti proprio per verificare se vi sono installate queste app. Anche per questo, secondo alcune testimonianze, la censura avrebbe spinto molti manifestanti a usare i servizi locali  per gli incontri, come Momo, Tantan e Soul, nei quali il controllo pare essere meno severo. Nonostante la stretta recente contro i giganti tecnologici, il settore del dating ha avuto un trattamento particolare in Cina. Secondo un recente articolo del New York Times, i motivi che l’avrebbero salvato dalla forte censura cinese riguardano il declino della fertilità e del numero dei matrimoni nel paese, ma anche le stesse misure di isolamento anti Covid, rese più sostenibili da app simili.

 

Una serie di rischi e restrizioni che ha portato alla creazione di un modello di comunicazione decentralizzato, in cui le informazioni si diffondono tra ristretti gruppi di conoscenti utilizzando diversi canali, per rendersi meno rintracciabili. Uno strumento indispensabile durante proteste di Hong Kong, per esempio, è stato Airdop di Apple, con cui gli utenti possono scambiarsi file e informazioni da un telefono all’altro, gratuitamente. È anche possibile impostare Airdop in modo da ricevere dati da qualsiasi dispositivo nelle vicinanze, creando una rete di scambi localizzata. A inizio novembre, Apple però ha presentato una nuova versione di iOS, il sistema operativo di iPhone, che includeva un aggiornamento per i dispositivi venduti nella Cina continentale con cui si restringeva l’uso di Airdrop a dieci minuti per volta. L’azienda ha  specificato che porterà la stessa novità al mercato globale l’anno prossimo, ma non c’è dubbio che il cambiamento abbia avuto ripercussioni per i manifestanti.

 

Gli interessi di Apple in Cina sono numerosi e noti da tempo, ma non sono gli unici. Il governo di Pechino ha usato la sua influenza anche per confondere e inquinare la discussione delle manifestazioni su Twitter, usando centinaia di profili che per giorni hanno pubblicato contenuti pornografici e link a siti di escort associandoli ai nomi delle città coinvolte dalle proteste. In tal modo, chi cercava notizie sugli eventi di questi giorni si ritrovava immerso nella spam: “Cinquanta per cento porno, cinquanta per cento proteste”, come ha detto una fonte governativa al Washington Post

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