Pechino come Hong Kong: le manifestazioni cinesi come quelle dell'ex colonia

Priscilla Ruggiero

I simboli e gli slogan di Hong Kong in Cina. Dalle proteste di piazza Tiananmen nell’89 alla rivoluzione degli Ombrelli a Hong Kong nel 2014 ai fogli bianchi di oggi in tutto il paese

 Chi conosce le proteste pro democrazia di Hong Kong, per un attimo, guardando le manifestazioni in Cina degli scorsi giorni, ha pensato che  quelle immagini provenissero dall’ex colonia inglese. Per i simboli – i fogli bianchi, già utilizzati durante le proteste di Hong Kong nel 2020, i fiori e le candele, sempre presenti nella veglia annuale nel parco di Vittoria per commemorare le vittime di  piazza Tiananmen (vietata dal 2020 formalmente a causa delle restrizioni Covid) – e per gli slogan come “Revolution of our times” e “Be water”. Eppure  i video delle proteste non arrivavano (almeno quelli di sabato e domenica) dall’ex colonia britannica ma dalla Cina continentale, ed è la prima volta in assoluto che  sembra quasi non esserci alcuna differenza tra le due. 

 

Dopo le proteste a Urumqi, in Xinjiang, poi quelle a Urumqi Road a Shanghai e in tutte le principali città cinesi, ieri sera anche i ragazzi di Hong Kong hanno espresso solidarietà al dissenso nei confronti del Partito comunista nell’Università di Hong Kong, a Shanghai street, Kowloon e in molti altri principali luoghi della città. L’ondata di proteste degli ultimi giorni mostra richieste di libertà e democrazia molto simili a quelle del movimento di Hong Kong. A partecipare a quelle nell’ex colonia britannica c’era anche la diaspora cinese, cittadini cinesi arrivati a Hong Kong per lavoro o per studio che hanno sentito il dovere di esprimere solidarietà ai connazionali dopo aver visto i propri cari imprigionati per mesi dentro casa, in Cina, senza provviste e nessuno a cui rivolgersi per chiedere aiuto. “It’s my duty”, si sente nei video da Pechino, una frase diventata celebre durante le proteste di piazza Tiananmen nel 1989 e ripresa nel 2019 durante la rivoluzione di Hong Kong. 

 

 

Sembra quasi che gli studenti cinesi abbiano preso lezioni  dal movimento pro democrazia di Hong Kong degli ultimi anni: all’Università Sun Yat-sen di Guangzhou i manifestanti intonavano  la canzone della band cantonese “Beyond” dal titolo  “Boundless oceans, vast skies”, ampiamente usata durante le proteste degli hongkongers del 2014; a Urumqi cantavano l’inno nazionale, un metodo già utilizzato nell’ex colonia per evitare l’accusa delle autorità di rappresentare un  movimento antipatriottico o manovrato da forze straniere; su Weibo e WeChat sono comparsi post con la scritta: “Liberare la Cina, la rivoluzione dei nostri tempi”, uguale a quello di due anni fa: “Liberare Hong Kong, la rivoluzione dei nostri tempi”.  Ormai la paura di manifestare con un foglio bianco e le conseguenze di azioni di questo tipo sono le stesse sia in Cina continentale sia nell’ex colonia britannica. Dopo l’approvazione della legge sull’estradizione, anche i cittadini cinesi che vivono a Hong Kong con un semplice visto e che hanno partecipato alle proteste di ieri sera rischiano moltissimo. Anche la risposta di Pechino è la stessa: dopo anni in cui la colpa delle proteste nell’ex colonia britannica era sempre delle “forze straniere”, anche in quelle degli scorsi giorni avrebbe interferito l’occidente liberale. Già a Shanghai e Pechino i giovani cinesi avevano risposto con una provocazione (“Dove sono le forze straniere?”), e  ieri nel cortile dell’Università di Hong Kong su uno dei fogli bianchi è stato cancellato il carattere cinese wai, esterno, dall’espressione “forze straniere”,  e corretto a penna rossa con il carattere nei, interno: siamo forze interne.

 

 

Ciò che invece contraddistingue i manifestanti di Hong Kong da quelli di Pechino è il pensiero critico: fino a qualche anno fa nel porto profumato l’attivismo era parte intrinseca della formazione tradizionale dei cittadini. A Pechino, dove è quasi impossibile evitare la propaganda e la censura del Partito comunista cinese, un’intera generazione non dovrebbe nemmeno sapere cosa sia accaduto nel giugno 1989 nella piazza principale del paese. Eppure in questi giorni ci ha dimostrato di sapere cosa è accaduto a Hong Kong.