(foto EPA)

Le ultime evacuazioni dal Donbas, con i minuti contati tra un'esplosione e l'altra

Pietro Guastamacchia

Una folla di anziani lascia la regione, ma c’è chi rimane tra i palazzi sventrati e dice: non ho alcuna simpatia per i russi, ma non me ne vado e li aspetto

Kramatorsk. Dentro il palazzo comunale di Konstantinovka il sindaco manca da tre giorni, è bloccato nelle zone più esposte verso Toretsk dove ogni giorno piovono missili russi, l’ultimo dei quali sabato scorso ha ucciso cinque civili, sorpresi dall’esplosione alla fermata del bus. Nei corridoi a gestire la distribuzione degli aiuti è rimasta solo Marina, che in realtà sarebbe un’inserviente ma che scherzosamente gli altri impiegati chiamano “vicesindaco”, perché da 16 anni occupa l’ufficio di fianco a quello principale. Come molti altri Marina a marzo fuggì a ovest, quando l’avanzata dei russi era molto più lontana dalla città dello stato attuale, ma adesso che le truppe di Mosca si avvicinano, contrariamente alla richiesta di evacuazione generale, la donna ha deciso di tornare a casa sua e al suo lavoro. Per i russi non ha alcuna simpatia, ci tiene a mettere in chiaro, le motivazioni sono molto più materiali: “Ho dormito due mesi in un centro d’accoglienza su un materasso poggiato a terra, in condizioni misere. Ho 68 anni non posso vivere come un senzatetto,  ho deciso di tornare a casa”. Davanti al palazzo comunale i volontari del ministero per i territori occupati affiggono gli orari dei treni di evacuazione sulle fermate dei bus, ogni pomeriggio un treno parte dalla stazione di Pokrovsk verso Dnipro dove il ministero garantisce accoglienza nelle proprie strutture.

L’evacuazione è obbligatoria ma non forzata” spiega la locandina, da Kyiv fanno sapere infatti che stanno studiando una lettera  che chi sceglie di rimanere dovrà firmare. Il modulo mette in chiaro che per la stagione invernale non sarà garantito l’approvvigionamento di gas e quindi del riscaldamento, senza il quale sopravvivere in questa regione è praticamente impossibile. Alla qualità dell’accoglienza preparata dal ministero però i residenti di Konstantinovka sembrano non credere: “Una pensione da 3.000 grivnie al mese per vivere su una panchina alla stazione di Leopoli? No, grazie io non vado via”, spiega Valery, pensionato di 73 anni mentre spazza i vetri delle sue finestre esplose dopo che un razzo ha colpito la palazzina antistante domenica notte. Nell’appartamento sventrato dal razzo dormivano invece due sorelle, Olga, 71 anni, e Vika, di due anni più giovane, miracolosamente uscite incolumi dalle macerie. Le due avevano i bagagli pronti per partire e andare da un lontano parente a Pavlograd ma l’esplosione  ha carbonizzato i loro passaporti e senza documenti, anche se ora che non hanno più un posto dove stare, hanno dovuto rimandare l’evacuazione. Stando ai dati diffusi dal vice primo ministro ucraino e ministro per la Reintegrazione dei territori temporaneamente occupati, Iryna Vereshchuk, nella parte sotto controllo governativo della regione di Donetsk sarebbero rimasti circa 200.000 civili, la maggior parte tra Sloviansk e Kramatorsk, le ultime grandi roccaforti del Donbas ucraino.

A Bakhmut, una manciata di chilometri più a nord, chi fino a ieri si era intestardito per non partire ora chiama disperatamente il numero verde per chiedere che uno dei pulmini dei volontari lo vada a prendere. Su Bakhmut da giorni piovono bombe senza sosta e ogni notte uno o più palazzi residenziali vengono sventrati dall’artiglieria russa o dal fuoco di risposta. A chiamare questa volta sono Olga e Volodya, una coppia di pensionati il cui condominio è finito troppo vicino alla linea del fronte, ormai quasi in città. Le esplosioni hanno distrutto gli infissi e i due vivono da giorni tappando i buchi con delle coperte. Olga riesce a malapena a camminare, Volodya la assiste da giorni chino sul suo materasso piazzato sul pavimento dell’ingresso, unica stanza senza finestre, lontana dalle schegge. Dal furgone dell’ong Refugease li chiamano con alcuni minuti di anticipo “fatevi trovare pronti”, i minuti per caricare le borse sul furgoncino sono contati, se si sta troppo fermi l’artiglieria ti traccia ed è la fine. Secondo l’intelligence ucraina per sfondare a   Bakhmut, dopo giorni in cui i bombardamenti non hanno dato tregua, sarebbero arrivati i temuti mercenari russi della Wagner. Ma il primo assalto, tentato mercoledì a est della cittadina su viale Patrice Lumumba, dedicato dai tempi dell’Urss al leader congolese, è stato respinto a soli 2 chilometri  dal centro. Un secondo assalto potrebbe arrivare in ogni momento. Mentre la coppia sale sul mezzo una vicina si affaccia e guarda in cagnesco, “lei rimane e aspetta i russi” spiegano i due “noi invece abbiamo una figlia a Berlino, ci sta aspettando a Kyiv e ci porterà  in Germania, è tempo di dire addio al Donbas”.

 

Alla stazione di Pokrovsk arrivano decine di bus che portano all’incirca un migliaio di persone al giorno, tutte provenienti da Bakhmut, Chasiv Yar, Soledar, Toretsk e l’isolata Siversk, tutti villaggi su cui ogni giorno cadono i colpi degli scambi di artiglieria incrociata. Una funzionaria del ministero smista la folla sui vagoni: “Diventa sempre più difficile” confessa “chi aveva amici a ovest li ha raggiunti da mesi, chi aveva una macchina o disponibilità economica è partito da solo, ora arriva solo gente che non ha nulla”. Tra gli ultimi del Donbas spiccano infatti principalmente anziani, disabili ed emarginati, una folla di disperati che carica i pacchi in cui ha arrotolato la sua vita e si prepara al viaggio che li porterà a Dnipro, e da lì verso l’Ucraina occidentale o l’Unione europea in un centro di accoglienza, se le promesse saranno mantenute, o sul pavimento di una stazione se si dovessero avverare le  paure.  Intanto dal comando centrale a Kyiv rassicurano: “La difesa di Bakhmut terrà, i nostri uomini hanno respinto ogni attacco”, scandisce il bollettino della giornata, ma sono le stesse parole che si sentivano durante l’assedio di Severodonetsk prima che cadesse in mano russa. A Kyiv infatti in questi giorni c’è un gran discutere sulla controffensiva a sud per liberare Kherson, ma sulle sorti del Donbas invece gli annunci si fanno sempre più tenui.

Di più su questi argomenti: