educazione patriottica

La Russia insegna ai suoi studenti a difendersi dalla Nato

Micol Flammini

Nei manuali di Storia da anni si affacciava un patriottismo militarista che lasciava intravvedere i segnali dell'invasione. Il ministero dell'Istruzione manda quiz e filmini, negli istituti si organizzano marce e celebrazioni: si insegna ai ragazzi a marciare verso il futuro col passo del gambero e la Z negli occhi 

Questa guerra va spiegata a tutti. Anche i bambini hanno domande sul perché, su cosa sta accadendo, su chi sono i russi e chi gli ucraini, su cosa succederà dopo, se ci sarà un dopo. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ieri era in visita in una scuola media di  Verona e ha cercato le parole più semplici per dare queste spiegazioni: "Quello che è successo in Ucraina è che il piccolino è diventato sempre più grande e ora si ripara bene dagli schiaffi. E’ diventato sempre più grande per due motivi: prima di tutto perché è stato aiutato da tutti gli amici, in tantissimi modi. E poi perché combatte, si difende per un motivo, la libertà". Questa guerra è una storia di bullismo internazionale, di uno stato abituato a fare quello che voleva, contando sugli occhi dell’Europa e ormai anche degli Stati Uniti girati altrove. Ma la piccola – in realtà con un territorio ricco e sterminato – Ucraina non soltanto ha deciso di reagire, ma ha sbalordito tutti.

 

Che la guerra vada spiegata  anche e soprattutto agli studenti, la Russia l’ha capito da  prima che il conflitto scoppiasse. La scuola è il posto in cui si investe sulle nuove generazioni e il Cremlino sa che è lì che deve andare se vuole che il putinismo abbia un futuro. Dall’inizio dell’invasione russa, hanno iniziato a circolare filmati  in cui veniva raccontata “l’operazione speciale” come la storia di un’amicizia tra due scolari: un russo e un ucraino. L’ucraino trovava nuovi amici, ma questi nuovi amici iniziavano a fargli del male e così, il russo, nonostante il tradimento, interveniva per salvare l’amico ucraino, ormai leale e pieno di gratitudine per sempre. Le scuole russe si sono riempite di Z, il simbolo dell’invasione che nemmeno i russi sanno spiegare. Sono aumentate le occasioni per omaggiare l’esercito e il  presidente Vladimir Putin. Fa male pensare che in queste classi ci saranno anche bambini con parenti a Kyiv costretti a rendere onore all’offensiva Z.

 

Da anni, i manuali di Storia russi erano drogati di un patriottismo militarista che era già un segnale dell’invasione. Secondo un progetto chiamato “Memoria storica”, in diverse regioni della Russia è stato chiesto agli insegnanti di organizzare un test  dal titolo “Chi ci verrà addosso con la spada”, dedicato alla “secolare lotta della Russia contro gli invasori stranieri”. Un quiz per l’“educazione patriottica delle nuove generazioni e  la conservazione della storia del nostro paese”. Nelle domande  viene chiesto agli studenti in seguito a quale aggressione l’esercito russo è stato insignito per la prima volta dell’Ordine di San Giorgio. Risposta: quella della Georgia. Altra domanda: indica le capitali liberate dall’Armata rossa. Nei materiali mandati ai docenti c’è anche un manualino su come introdurre il quiz. Si parla di “minacce esterne”, del “blocco aggressivo della Nato” che  si è avvicinato ai confini della Russia, “minacciando l’esistenza stessa del paese”. 

Il futuro di queste nuove generazioni russe sembra molto simile a quello delle vecchie, è un passato deformato, zoppicante, preoccupante. I libri  di oggi ricordano quelli sovietici e il patriottismo di Putin è una minaccia come quello di Stalin. Draghi ha detto agli studenti che devono essere contenti di stare nel futuro. Futuro vuol dire costruire, guardare avanti, correre. In Russia si va verso il futuro camminando all’indietro, con il passo del gambero, gli occhi fissi al passato e il rischio di andare a sbattere perché gli ostacoli sono dietro le spalle e non davanti allo sguardo. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.