Papa Francesco e Kirill I (LaPresse)

una pasqua di giusta guerra

Se il cristiano Kirill combatte la cattiva battaglia e Francesco non combatte la buona, che sarà di noi?

Giuliano Ferrara

Una preghiera laica per Navalny, per Puškin e per la Nato, almeno finché non ci sarà nella bella San Pietroburgo, nella leggendaria Mosca, in tutti gli oblast di tutte le Russie, la virtù di disfarsi del tiranno omicida seriale

Ut unum sint: sembrava difficile, ma non così difficile. Se un cristiano combatte la cattiva battaglia (Kirill) e un altro cristiano non combatte la buona (Francesco), che ne sarà di noi? E se non ora, quando? Sulla riconciliazione come dimensione religiosa essenziale Maurizio Crippa, qui ieri, ha detto cose definitive e più persuasive, se posso permettermi, di quelle accennate da padre Antonio Spadaro, della Società di Gesù, direttore della grande Civiltà Cattolica e collaboratore del giornaletto italiano di Canfora & Putin. Infatti Crippa è il nostro amato vicedirettore vicario, ma è anche un Vicar, un Vicario che crede, e di Venerdì santo se non si prega per la riconciliazione, che ne sarà di noi? E se non ora, quando? 

 

La Chiesa in cammino e il popolo di Dio sono nel mondo, ma non del mondo. Le preoccupazioni di Roma, del Vaticano, si capiscono benissimo, sebbene siano incomprensibili, moleste e incompatibili le preoccupazioni del Patriarcato di Mosca, pur sempre una Terza Roma. E comprensibilissime anche quelle del vescovo greco-cattolico di Kiyv. Sarà l’aria di Bisanzio o Costantinopoli, fatto sta che la memoria dell’In Hoc Signo Vinces, il sogno dell’imperatore che si convertì, del Costantino che vinse e che garantì la conversione nel mondo civile allora conosciuto, l’impero romano, presiedendo alla formulazione del Credo di Nicea, evidentemente è ancora viva. Comunque, la preghiera a mani giunte o aperte, interiore o esteriore, è un affare serio, e anche i laici debbono sempre rispettarla, non soltanto nei giorni di digiuno. Le basi laiche della riconciliazione, però, appartengono al mondo, sono del mondo, si costruiscono su questa terra del peccato originale, richiedono condizioni oggi difficilmente riunite, quando un’aggressione forse genocida forse criminale (ma non sempre le parole o le definizioni hanno tutta questa importanza che attribuiamo loro) detta regole di guerra che contraddicono in radice la pace, la libertà e la vita. 

 

La mia preghiera laica, fuori le mura di Roma e di Bisanzio, di credente fervoroso ma aconfessionale seppure battezzato regolarmente, è per Navalny, ristretto in un carcere duro per le sue idee dopo essere rimpatriato da uomo libero e coraggioso, e per i suoi non moltissimi seguaci; per Puškin, per Onegin e Lenskij e Tatiana, per Turgenev, Tolstoj, il melodioso gay di nome Cajkovskij, per Grossman e altri russi o sovietici del dissenso che hanno amato la patria ma da occidentalisti (se venisse una parola in questo senso perfino dal caro Paolo Nori, sarei contento); soprattutto la mia preghiera è per il martirio dei civili ucraini, per lo splendido coraggio dei difensori della libertà e della vita degli ucraini, per i loro caduti e per i caduti dell’insensata e bastarda impresa neoimperiale di un uomo solo e tirannico; la mia preghiera è per la Nato, per i finlandesi e per gli svedesi, per i paesi baltici, per i polacchi, per gli ungheresi che hanno votato contro l’uomo nero, per i moldavi, per i bulgari e i romeni; prego per l’alleanza occidentale, con tutti i suoi difetti, per Steinmeier, Scholz, Johnson, Macron, Sánchez e Draghi, con Biden, che Dio dia loro la forza di perseverare, di non rinnegarsi mai, di continuare a fornire armi alla resistenza.

 

Prego per la stremata città di Maria, e levo un osanna, in alto i cuori, alla notizia che l’equipaggio è stato evacuato ma l’incrociatore ammiraglia della flotta del tiranno è semiaffondato al largo della minacciata Odessa. Questa è la mia riconciliazione, almeno finché non ci sarà nella bella San Pietroburgo, nella leggendaria Mosca, in tutti gli oblast di tutte le Russie, la virtù di disfarsi del tiranno omicida seriale, della sua alleanza con l’arco degli autocrati e dei ceceni di Kadyrov, e di pentirsi per quella insolente e vociante maggioranza assoluta di suoi sostenitori.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.