Bombe, assedi, esecuzioni, deportazioni e mine. Il metodo Putin in Ucraina

Paola Peduzzi

Sulle vie del trasloco militare in Donbas i russi lasciano mine antiuomo per uccidere altri ucraini

Ci sono le mine antiuomo dappertutto, ha detto Volodymyr Zelensky raccontando che cosa vuol dire il ritiro russo, che tutti noi accogliamo con un sollievo esagerato, come se la guerra combattuta nel Donbas fosse la guerra dell’Ucraina e non ancora la guerra di tutti noi contro l’invasione di Vladimir Putin. Ci sono le mine dappertutto, dice il presidente, le  forze russe hanno lasciato sulla strada del ritiro, come un Pollicino terrorista, “centinaia di migliaia di oggetti pericolosi”, “nelle case che hanno occupato, nelle strade, nei campi, hanno messo le mine nei cortili, nelle auto, negli ingressi delle case, hanno meticolosamente fatto sì che il ritorno in queste aree liberate fosse il più pericoloso possibile”. Molte testimonianze raccolte da giornalisti e ong dicono che le mine sono state messe anche nei cadaveri abbandonati per strada, che è una tattica mostruosa che abbiamo visto usare dai gruppi terroristici, che fanno esplodere bombe quando arrivano gli aiuti dopo un attentato o ai funerali. Cara Anna, una giornalista dell’Ap che è stata a lungo corrispondente da molti paesi africani, ha raccontato ieri i bambini di Bucha, i loro silenzi ma anche la voglia di rotolarsi per terra, fare dei fuocherelli per strada come hanno visto fare così spesso da ultimo, e due dettagli su quel che hanno lasciato le forze russe: un carro armato giocattolo davanti a un parco giochi, appeso con un filo da pesca e collegato a una trappola esplosiva; un ordigno inesploso nel mezzo di un altro campetto da gioco. 

 

Il metodo putiniano di guerra e distruzione è fatto di: bombe,  assedi fino alla fame, deportazioni, esecuzioni di massa, torture e, sulla via del ritiro, mine. Gli artificieri ucraini hanno trovato alla periferia orientale di Kharkiv, la cittadina del nord che ha subìto i primi attacchi all’inizio dell’invasione, un ordigno chiamato Pom-3 che ha una caratteristica particolare: è una mina che non devi toccare ma dotata di sensori che riconoscono la presenza umana e la sanno distinguere da quella di un animale. Scoppiano insomma se c’è una persona nelle vicinanze, non c’è bisogno di inciamparci: lanciano in alto un esplosivo che con i suoi frammenti può colpire in un raggio di quindici metri dalla mina. Le autorità ucraine hanno aperto un’inchiesta, che con molta probabilità confluirà in quella più grande che indaga sui crimini di guerra commessi dalla Russia, su uno di questi ordigni ritrovato dopo che un uomo, sempre a Kharkiv, è saltato in aria mentre era alla guida della sua auto.

 

Come tutto in questa guerra anche le mine sono un argomento delicato perché vengono utilizzate anche dagli ucraini. La settimana scorsa, il generale americano Mark Milley, capo di stato maggiore, ha detto che le mine sono state decisive nella difesa ucraina contro l’avanzata dell’esercito di Putin nella prima fase della guerra, quando i convogli russi puntavano alle città. Faceva riferimento alle mine anticarro che hanno una carica esplosiva più grande rispetto alle mine antiuomo e scoppiano quando un mezzo ci passa sopra o anche solo le sfiora. Durante la testimonianza davanti alla commissione Forze armate del Senato, Milley ha spiegato che gli ucraini hanno disseminato di mine le strade su cui si muovevano i mezzi russi, “per questo avete visto video e ci sono resoconti che indicano un gran numero di carri armati russi colpiti”. Nel 1997 gli ucraini hanno firmato, assieme ad altre 163 nazioni, il trattato che esclude l’utilizzo delle mine antiuomo, un trattato cui non hanno aderito né gli Stati Uniti né la Russia (negli Stati Uniti la questione è molto dibattuta, ci sono stati interventi presidenziali, molte vittime anche americane per mine di produzione americane e molti resoconti sul danno umanitario fatto ogni anno dalle mine lasciate sul terreno di conflitti conclusi). Le mine anticarro sono escluse dal trattato. 

 

Ora che Zelensky e con lui le ong denunciano l’utilizzo delle mine come ultima arma del metodo di guerra putiniano, la propaganda del Cremlino dice e fa dire: le mine le avete messe voi ucraini. Mostrano delle esplosioni anche di loro mezzi (poche, perché non fa parte della comunicazione trionfalistica russa mostrare le proprie perdite) e ripetono: sono gli ucraini nazisti ad aver disseminato il paese di ordigni esplosivi, ora danno la colpa a noi e tutto l’occidente russofobo li ascolta e asseconda. E’ sempre la solita tattica, la stessa che fa dire a Putin, come ha fatto ieri, che lui i negoziati non li farà più perché Kyiv li boicotta, non lui. E’ una tattica conosciuta ma che non smette di fare i suoi danni, non tanto e non solo per quel che poi accadrà a chi ha commesso i crimini di guerra ma per l’andamento stesso del conflitto.

 

A Bucha, nella ghiaia vicino a una piattaforma utilizzata per caricare e scaricare merci, è stato trovato il corpo di Dmytro Chaplyhin, 21 anni, con il petto livido, blu e nero, e le mani segnate da molte bruciature di sigarette. A ucciderlo è stato un colpo di pistola a distanza ravvicinata, il suo corpo è stato trasformato in un’arma, legato a un cavo di innesto collegato a una mina.    Molti testimoni dicono di aver ricevuto ordine di non avvicinarsi ai cadaveri anche se riconoscono le vittime perché potrebbero essere minati. Questo è il lascito dei russi, e ora che la guerra nel Donbas sta diventando guerra di trincea, molti esperti si aspettano che l’utilizzo delle mine aumenterà, probabilmente in maniera proporzionale con la nostra disattenzione. Dal 2014 delle missioni di associazioni per lo sminamento operano nel Donbas: stavano ancora lavorando quando è cominciata questa invasione.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi