Può un elettore di Mélenchon diventare un macroniano?

Paola Peduzzi

Il bottino elettorale della sinistra radicale francese fa gola a tutti, ma un elettore di quell'area deve subire una mutazione per rispettare il diktat “non si vota la Le Pen” e non andarsene al mare

Il secondo turno delle elezioni francesi sarà uno scontro uguale a quello del 2017, Emmanuel Macron contro Marine Le Pen, solo che nel frattempo il primo ha fatto per cinque anni il presidente e la seconda ha subìto e domato un cannibalismo dentro l’estrema destra, uscendone con un’immagine restaurata, ma meno di quanto si aspettasse. Il sollievo tra i macroniani di fronte al 28 per cento dei consensi contro il 23 della Le Pen è evidente, anche perché si sta componendo, dichiarazione dopo dichiarazione, il fronte repubblicano (i macroniani non vogliono chiamarlo così) che, dal 2002 a oggi, ha mantenuto saldo in Francia il cordone sanitario contro l’estrema destra. Poi c’è l’exploit della France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, il quale è arrivato vicinissimo alla Le Pen (dietro per soltanto l’1,20 per cento dei voti) e ora ha un bottino elettorale decisivo da gestire. Il suo primo passo è stato insolitamente molto chiaro: nessuno dei miei voti deve andare alla Le Pen, ha scandito più volte parlando subito dopo i primi exit poll. Ma la domanda che ora tutti si pongono è: può un elettore insoumis diventare un macroniano? Mélenchon ha fatto campagna contro Macron seguendo il modello della sinistra radicale: antiliberale, antieuropea, anti Nato, giustificazionista nei confronti di Vladimir Putin.

 

Nella descrizione di Mélenchon il presidente è un rapace ed elitario ex banchiere che ha a cuore solo i ricchi e non gli interessi dei francesi: il leader insoumis ha attirato a sé il voto dei “fâchés”, degli arrabbiati, dei dimenticati, di chi non si riconosce nella gestione manageriale del paese fatta da Macron. Poiché il presidente nasceva politicamente a sinistra – i passi più importanti della sua carriera li ha mossi nel governo socialista di François Hollande – si può dire che Mélenchon rappresenta l’antitesi esatta delle prime ispirazioni socialdemocratiche di Macron. E chi è l’elettore di Mélenchon? Secondo i dati, è giovane (sotto ai 35 anni, la France insoumise ha preso più del 30 per cento dei voti, mentre con gli ultrasettantenni, dove Macron è andato molto bene, ha solo il 9 per cento), vive in città, è più istruito della media, è di una minoranza religiosa; il reddito è una variabile interessante: Mélenchon ha preso un quarto dei voti dei redditi più bassi ma il 20 per cento dei redditi medio-alti.

 

L’istituto Ipsos ha posto anche una domanda specifica nelle sue rilevazioni: sei soddisfatto della tua vita? Macron vince tra i soddisfatti, Mélenchon si gioca con la Le Pen il voto degli insoddisfatti, ma a differenza della candidata del Rassemblement national ottiene voti sia da chi ha dei risparmi sia da chi arriva appena (o non arriva) alla fine del mese. Soprattutto: l’elettore di Mélenchon è molto cambiato rispetto al 2017. Sempre secondo Ipsos, il leader insoumis ha tenuto il 66 per cento dei voti di cinque anni fa (moltissimi si sono astenuti, oltre il 40 per cento dei giovani), ha raccolto il 33 per cento di chi si dichiara affine al Partito socialista  ed ecologista. A guardare queste prime analisi, il voto di Mélenchon è una risacca di voti di sinistra: nel 2017 uno su cinque dei suoi elettori votò per la Le Pen. Oggi questa proporzione sembra, ma i dati sono quasi tutti precedenti alla dichiarazione anti lepenista di Mélenchon, essere di 1 su 3. Una decina di giorni fa, Mélenchon aveva detto che avrebbe consultato i suoi sostenitori online (310 mila) per il secondo turno, ma dando tre opzioni: scheda bianca, Macron e astensione, l’ipotesi di votare Le Pen non è prevista. Lei naturalmente ha cominciato la sua offensiva proprio verso questi elettori: non ditemi che potete votare Macron, non ci credo, ha detto ieri. Così per chi non riesce a immaginare una mutazione macroniana dell’insoumis l’alternativa migliore resta l’astensione: potrebbe bastare. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi