A Mariupol si avvicina l'ultima battaglia. Nel Donbas Mosca ha bisogno di uomini e non li trova

Micol Flammini

L'attacco russo nell'est dell'Ucraina potrebbe richiedere più del previsto. Per capire i tempi dell’assalto guardate i Btg e i loro guai

Il leader della Repubblica popolare di Donetsk ha detto che anche il porto di Mariupol è caduto. Da Kyiv non ci sono conferme e diverse volte dall’esercito russo e dai suoi sostenitori è arrivata la notizia della fine della città portuale. La situazione delle truppe ucraine che resistono peggiora e gli uomini della Trentaseiesima brigata sulla loro pagina Facebook si sono lamentati  di non essere stati adeguatamente riforniti: è uno delle prime lamentele nei confronti del presidente Volodymyr Zelensky che si sentono dall’inizio della guerra. La brigata ha detto di aver ricevuto soltanto 50 proiettili di artiglieria, 20 mine, diversi sistemi missilistici anticarro portatili Nlaw e un kit di ricezione internet satellitare Starlink dall’inizio della guerra. Se la lettera rappresenti la posizione di tutta la brigata o di qualche soldato non si sa. Ma a Mariupol gli uomini   di Mosca sono  pronti a tutto: un altro rappresentante  di Donetsk ha detto che circa “tre o quattromila nazisti si sono rifugiati nello stabilimento Azovstal” e che potrebbe essere presa la decisione di usare armi chimiche “per stanarli”. Mariupol soffre, è distrutta, mentre i due eserciti si preparano alla battaglia del Donbas ognuno con le proprie mancanze e le proprie necessità di rifornimento. 

  

E’ un conto alla rovescia estenuante e frenetico, perché gli schieramenti cercano di migliorarsi, di mutare tattiche, posizioni, obiettivi. A dettare i tempi sono i russi, Mosca deve riorganizzarsi, ma più tempo impiega più ne lascia agli ucraini per rifornirsi, eppure l’intelligence americana ha detto che il grande attacco non è imminente: Mosca intende raddoppiare se non triplicare le sue forze nel sud-est dell’Ucraina e questo richiederà “tempo considerevole”. Kyiv continua a chiedere ai suoi alleati occidentali armi, un arsenale diverso rispetto a quello utilizzato finora, un arsenale che consenta combattimenti più in profondità e di attacco. Sta ricevendo mezzi da molti paesi, la Polonia manderà carri armati T-72, come ha fatto la Repubblica ceca la scorsa settimana. Gli S-300 mandati dalla Slovacchia sono arrivati e la notizia della loro distruzione è stata smentita dal governo.  Il produttore di armi tedesco Rheinmetall ha detto che è pronto a mandare i suoi mezzi Leopard 1 in Ucraina e aspetta solo il via libera dal governo.  Tutta l’Ue ha detto di essere pronta a intensificare la fornitura di armi e la Gran Bretagna ha promesso più mezzi. I soldati di Kyiv non hanno problemi di morale, sono sicuri di dover combattere al meglio per arrivare forti al tavolo dei negoziati e i massacri che l’esercito russo si è lasciato alle spalle durante la ritirata hanno rafforzato le motivazioni ucraine. 

 

Per i russi il problema maggiore sembra essere non tanto di armi e munizioni – inoltre il Donbas è vicino alla frontiera e sarà più facile rifornirsi, non bisognerà attraversare il territorio ucraino per portare mezzi ai soldati – ma ha un problema di uomini. Le intelligence straniere hanno raccontato dell’alta percentuale di soldati pronti a disertare, di genitori disposti a pagare qualsiasi prezzo per non mandare i loro figli al fronte, di tentativi di reclutare gli uomini dei territori occupati. I servizi segreti britannici hanno invece riferito della volontà di Mosca di richiamare soldati in pensione. Questa ricerca di personale potrebbe anche ritardare l’attacco e quindi dare a Kyiv più tempo per i rifornimenti necessari e anche per eventuali addestramenti dal momento che questa volta i mezzi di origine sovietica potrebbero non bastare e l’esercito dovrà abituarsi all’uso di mezzi della Nato. 

 

La Russia sta inviando un convoglio militare lungo dodici chilometri per rifornire le sue truppe a Izyum, città a sud di Kharkiv considerata strategica, ma c’è un elemento dell’esercito russo che le intelligence occidentali stanno osservando per capire in che stato versa davvero l’esercito russo: i Btg, sigla che in russo vuol dire Batalonnaya takticheskaya gruppa, gruppi di combattimento, forze costituite da meno di mille soldati ciascuno che si muovono con camion lanciarazzi, carri armati. I Btg sono forze di sfondamento, hanno il compito di occupare un territorio con rapidità, e mentre l’esercito russo si assembrava ai confini ucraini gli americani tenevano d’occhio questi gruppi per capire quando Mosca avrebbe attaccato: il numero tanto atteso era di cento Btg. In questa guerra però i Btg si sono rivelati meno utili sia a rompere le linee della  resistenza  sia inadeguati a tenere il territorio. Si sono dimostrati meno abili del previsto, incapaci di eseguire tattiche di armi combinate – e questa dovrebbe essere una delle loro specialità – e inoltre sono emerse anche le loro difficoltà comunicative. Il loro vantaggio sarebbe dovuto essere fuoco e movimento insieme, ma è venuta meno sia la potenza sia la rapidità. Le tattiche utilizzate sono vecchie, e i Btg si sono esposti alle imboscate e  il loro numero si è molto ridotto. I problemi dei Btg sono stati accentuati anche dalla scarsità della fanteria: i soldati scarseggiano in numero e in addestramento. 

 

L’attesa  di Vladimir Putin per riportare una seppur minima vittoria per il nove maggio, potrebbe essere molto più complicata da raggiungere. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.