Le crepe nella propaganda

Perché i russi sono ostaggi di Putin

“Il 24 febbraio i russi si sono svegliati in quella che sembrava essere la stessa Russia putinista, ma in realtà ora si trovano in un altro paese, dove lo stile di vita e la coscienza di massa cambieranno drasticamente”, scrive Andrei Kolesnikov, presidente del programma di politica interna al Carnegie Moscow

La tenace resistenza ucraina continua a rallentare l'invasione russa e dopo sei giorni di guerra iniziano a emergere le prime crepe attorno a Vladimir Putin. Le sanzioni economiche dell'occidente, i bancomat svuotati a Mosca, hanno colpito la Russia, sempre più isolata. Ma se la pressione esterna era un rischio che il Cremlino aveva probabilmente messo in conto, diverso è il discorso sul fronte interno. “Perché i russi sono ostaggi di Putin”, è il titolo di un intervento pubblicato sul Moscow Times da Andrei Kolesnikov, presidente del programma di politica interna russa al Carnegie Moscow, un think tank che si occupa di politica interna e estera, in cui si spiega come il leader russo abbia trasformato una “guerra ibrida” in una “guerra calda”. Putin avrebbe sbagliato i calcoli di un intervento militare che, oltre a violare la sovranità di uno stato e ad attaccare i valori dell'occidente, fatica sempre più ad essere compreso dalla popolazione russa.

    

Nella mente di Putin, qualcuno ha preso in ostaggio l'Ucraina. Nei fatti, sono i russi ad essere ostaggio di Putin”, scrive Kolesnikov nel suo editoriale, descrivendo la metamorfosi in atto in Russia: “Il 24 febbraio si sono svegliati in quella che sembrava essere la stessa Russia putinista, ma in realtà ora si trovano in un altro Paese, dove lo stile di vita e la coscienza di massa cambieranno drasticamente”. Una dinamica che il Cremlino ha sottovalutato. “Ciò che è accaduto – continua l'analista - è molto più grave nelle sue conseguenze politiche, morali e psicologiche dell'operazione in Georgia nel 2008, della campagna di Crimea e persino della guerra nel Donbass nel 2014-2015”.

 

Le due precedenti crisi in quella zona non avevano avuto la stessa risonanza mediatica né indotto la Nato e l'Unione europea ad una reazione così energica. Ma questa volta lo scenario è cambiato, e d'altra parte già negli scorsi giorni non sono mancate in Russia manifestazioni contro l'invasione in oltre 50 città. Proteste, su cui si è soffertamato con parole di elogio anche lo stesso Mario Draghi questa mattina Senato.

 

Poi sono arrivate anche le sanzioni, con conseguenze che rischiano di essere drammatiche per l'economia russa e per una popolazione coinvolta in un'escaltion che assume toni sempre più allarmanti, al netto dei negoziati partiti ieri. E anche questo potrebbe essere un segnale. Il presidente del Carnegie Moscow punta il dito contro la propaganda del Cremlino:”Il regime designa la guerra come 'pace' e l'aggressione contro le regole del mondo civile come un'operazione di denazificazione e smilitarizzazione. Lo stesso motivo stalinista della liberazione, la rappresentazione delle autorità legalmente elette di un paese straniero come nemici del suo stesso popolo”.

 

Ma così facendo, è la conclusione a cui giunge Kolesnikov, “Putin ha semplicemente trasformato l'idea di sovranità in un feticcio, una giustificazione per la guerra. Ciò equivale a un pensiero estremamente arcaico della prima metà del XX secolo. L'idea di un 'attacco' alla Russia, quando nessuno la sta attaccando, è primitiva”.

 

Così, insomma il presidente russo tiene in scacco una nazione, “una maggioranza indifferente” che considera questa “una spiegazione sufficiente del militarismo putinista”. Negli ultimi i giorni tuttavia il numero degli arresti in russia ha superato quota 4.000 mila, e in tanti sfidano le disposizioni del governo, protestando. Allo stesso modo sono arrivate prese di posizione dal mondo dello sport. Forse anche la propaganda interna inizia a sentire i colpi di un'altra resistenza, quella che viene dalla società civile.

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