La linea della Cina sulla Russia in Ucraina, decodificata

La guerra di Putin accelera il progetto di Xi Jinping di creare un fronte unito contro l'America

Giulia Pompili

“Questa poteva essere un’enorme opportunità da parte della Cina per giocare un ruolo più importante come attore responsabile”, dice al Foglio Francesca Ghiretti, analista del think tank tedesco Merics. Ma per il Partito comunista “il conflitto sistemico con gli Stati Uniti sia molto più importante di tutto il resto”

Ieri a Ginevra la 49esima sessione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu si è aperta con la richiesta, da parte dell’Ucraina, di un dibattito urgente su quelli che Kyiv ha definito “crimini di guerra” della Russia. Siccome Mosca si è opposta alla discussione – che potrebbe portare alla creazione di una Commissione d’inchiesta indipendente – nel rituale democratico delle assemblee dell’Onu c’è voluto un voto: il dibattito si terrà, giovedì prossimo, grazie ai 29 voti favorevoli.  Si sono astenuti 13 paesi, tra cui India, Pakistan, Emirati Arabi Uniti e Somalia. Hanno votato “no” la Russia, il Venezuela, l’Eritrea, Cuba e naturalmente la Cina.


Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi è intervenuto al dibattito di Ginevra, con un discorso sulle “bugie” della repressione cinese nello Xinjiang e a Hong Kong e sulla nuova definizione cinese di “diritti umani”, ben più politica che valoriale: “Nel giudicare se i diritti umani sono rispettati in un paese”, ha detto Wang Yi, “non si possono usare gli standard di altri paesi, ancor meno applicare doppi standard o usare i diritti umani come strumento politico per interferire negli affari di altri paesi”. 74 anni di Dichiarazione universale dei diritti umani riscritti dalla seconda economia del mondo.

 

Ma la linea cinese di “non interferenza” sugli affari altrui (cioè sui suoi) non è l’unico motivo per cui la condanna dell’invasione russa in Ucraina non ci sarà. Sin dal dicembre del 2021 funzionari americani parlavano con funzionari cinesi delle intenzioni del Cremlino, e chiedevano alla Cina aiuto. Ieri sia Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, sia un lungo editoriale del tabloid Global Times, spostavano l’attenzione sulle presunte colpe americane nel conflitto: “La mentalità da Guerra fredda dovrebbe essere completamente abbandonata”, ha detto ieri Wang Wenbin, “e le legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi dovrebbero essere rispettate”.  

 


“Questa poteva essere un’enorme opportunità da parte della Cina per giocare un ruolo più importante come attore responsabile”, dice al Foglio Francesca Ghiretti, analista del think tank tedesco Merics, “senza un enorme sforzo diplomatico e senza nemmeno andare contro quei princìpi che il Partito dice di sostenere, per esempio sulla stabilità e sulla sovranità territoriale. Avrebbe potuto essere un modo per riconquistare la fiducia da parte della comunità internazionale ma attenzione, anche dei paesi in via di sviluppo più piccoli”, quelli dove la Cina è influente e che adesso si chiedono se la loro sicurezza è garantita. E invece, vista la non-posizione cinese, è molto più probabile che per il Partito comunista cinese “il conflitto sistemico con gli Stati Uniti sia molto più importante di tutto il resto”. La Russia e la Cina vogliono la stessa cosa, riscrivere le regole internazionali basate sull’ordine liberale, “ma i metodi dei due paesi sono diversi. La Russia oggi lo fa con una guerra d’invasione, la Cina probabilmente aveva un’altra roadmap, fatta per esempio di maggiore influenza sulle organizzazioni internazionali e sui paesi con cui ha rapporti commerciali molto forti”.  

 

La posizione cinese sulla Russia, gli accordi firmati da Xi Jinping e Putin il 4 febbraio scorso, “tutti i segnali ci dicono che Mosca e Pechino vogliono creare un sistema parallelo al nostro”, dice Ghiretti, menzionando il sistema cinese alternativo allo Swift da tempo in esame in Cina. “Il problema della crisi ucraina è che ha accelerato un piano che non era ancora pronto”. Per questo è ormai non solo inutile, ma anche ingenuo pensare a un intervento influente di Pechino. Da un lato alla Cina manca proprio una tradizione negoziale, soprattutto di crisi di politica estera di questo tipo, dall’altra “noi pensiamo erroneamente che Pechino abbia una certa influenza su Mosca, in realtà Putin si vede alla pari di Xi, la loro è una relazione molto fragile che si tiene insieme solo per l’obiettivo di abbattere il sistema occidentale. Non è minimamente paragonabile, per esempio, a quella tra l’America e l’Ue”, dice Ghiretti. Ora però nella sua ambiguità diplomatica per evitare di condannare la Russia ci dice da che parte sta: “Il sostegno intanto è retorico, ma vediamo se sarà anche materiale. E’ difficile capirlo, ma sul breve periodo,  se i russi hanno calcolato di poter sopperire all’esclusione totale dai mercati occidentali puntando sulla Cina hanno fatto un calcolo sbagliato. Il punto è che il benessere dei cittadini viene dopo la dimostrazione di forza e la vittoria politica. Poi, sul lungo periodo, la costruzione di questo sistema alternativo beneficerà entrambi”.


La guerra ha avuto un effetto che non piacerà alla Cina, rafforzando l’alleanza delle democrazie: “Anche questo è uno dei motivi per cui la Cina avrebbe scelto metodi diversi. Prima che la Russia invadesse l’Ucraina non sapevamo nemmeno come sostenere la Lituania contro la coercizione economica cinese”. Nel frattempo, Washington ha inviato una delegazione di ex funzionari dell’Amministrazione americana  a Taiwan.  

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.