L'intervista

Guida ai nostri anni Venti furiosi. Intervista ad Alec Ross

L'ex consigliere di Hillary Clinton e Barack Obama ragiona sulla necessità di un nuovo contratto sociale che coinvolga aziende, governi e individui

Micol Flammini

Lo scrittore americano ci dice che chi esercita il potere ascolta gli ottimisti e che per l'Unione europea è arrivato il momento di buttarsi in campo. "C'è un corridoio tra Stati Uniti e Cina", ma per approfittarne deve imparare a non temere i propri fallimenti

Gli anni Venti del nostro  millennio sono arrivati con un grande carico di aspettative. Saranno anche loro ruggenti?, ci si chiedeva. Desideri e illusioni sono stati congelati dall’arrivo della pandemia e adesso che ne stiamo uscendo, abbiamo ricominciato a domandarci: ma quindi, come saranno questi anni Venti? Secondo Alec Ross, ex consigliere per l’Innovazione di Hillary Clinton e collaboratore di Barack Obama, saranno “furiosi” e a loro ha dedicato il suo ultimo libro pubblicato da Feltrinelli: “I furiosi anni venti”. Se c’è una differenza lampante tra i ruggenti e i furiosi è il rapporto con il futuro. I primi ne erano inebriati, erano proiettati nel futuro con sfrontatezza. Noi, abitanti dei secondi, ci avviciniamo al domani con timidezza, deferenza, paura, senza concederci. “La paura è un freno, è un sentimento che non fa progredire il mondo, è utile soltanto quando il senso del pericolo è immediato. Adesso è il momento di fare cose difficili e di impegnarci”, dice Ross al Foglio. Lo scrittore, che vive tra gli Stati Uniti e l’Italia, ha dedicato il  libro ai cambiamenti di cui, a suo avviso, ha bisogno il mondo. La prima necessità è un nuovo contratto sociale che comprenda tre attori: individui, governi e grandi aziende. L’argomento non è nuovo ma Ross  lo affronta in modo costruttivo. “Solo gli ottimisti cambiano il mondo e solo gli ottimisti vengono ascoltati da chi esercita il potere”. 

 

 

La consapevolezza che se il mondo e l’economia evolvono, anche il contratto sociale deve seguire la stessa evoluzione è più presente in Europa che negli Stati Uniti, eppure, nonostante le intuizioni dell’Unione sembrino essere giuste, l’Unione continua a rimanere in disparte, a guardare il mondo in lontananza. Per Ross l’Ue ha l’ossessione dell’arbitraggio, dispensa cartellini gialli, ma non partecipa al gioco. “In campo ci sono Stati Uniti e Cina. I giocatori pensano a vincere, al risultato, l’Ue pensa alle regole. Questa timidezza europea viene da una mentalità burocratica che si concentra sul processo e non sul risultato”. E tanto rimanere sull’uscio,  tanta esitazione, sono la più grande differenza tra le due sponde dell’Atlantico. “Negli Stati Uniti non ci vergogniamo di indossare i nostri fallimenti, in Europa c’è il  terrore del fallimento che paralizza l’azione. Mancano il coraggio e l’audacia  che invece americani e cinesi hanno. Negli Stati Uniti ci sentiamo tutti un po’ cowboy, ci sentiamo coraggiosi e se abbiamo una cicatrice sul viso ci fa quasi sentire meglio, rende più cool, la facciamo vedere”. L’Europa è in attesa del suo momento, che sembra sempre sul punto di arrivare. Anche con la pandemia, con il Recovery fund, con gli Stati Uniti e la Cina che si sfidano, si è detto che eccolo, è questo il momento dell’Europa. “Potrebbe esserlo, tra Pechino e Washington c’è un corridoio aperto, ci sono opportunità economiche grandi in settori emergenti che valgono molto e gli europei possono esserne i protagonisti. Se aspettano, lo faranno prima gli americani o i cinesi”. 

 

Le opportunità dell’Europa nascono anche dalle divisioni che oggi affliggono l’America e l’ottimismo di Ross sfuma proprio quando si parla delle ferite del suo paese. Quattro nomi sono assenti nel suo libro: Clinton, Obama, Trump e Biden. “E’ una scelta, voleva essere un testo sul cambiamento. Questi personaggi non hanno cambiato le condizioni, sono prodotti delle condizioni. Per ricucire l’America ci vuole una svolta generazionale, ma adesso anche i giovani sono molto divisi. All’America non basta più il carisma di una persona, ha bisogno di un cambiamento strutturale”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.