Guardando "The chair" su Netflix
La cancel culture? È un affare per vecchi
Esiste o no, signora mia? Tra Economist, Atlantic e New York Times, continua il dibattito. Quello che è sicuro è che l'adattamento italiano è roba da ultraboomer.
Insomma, signora mia, questa cancel culture esiste o no? C’è grande confusione nel primo mondo. L’Economist ha dedicato una delle ultime copertine a dire che sì, eccome, tutta colpa della “sinistra illiberale”, mentre Anne Applebaum in un lungo saggio sull’Atlantic ha coniato il termine di “nuovi puritani”, per intendere i sacerdoti di cancellazione e sputtanamento, le punizioni extragiudiziali per chi osa sbagliare oggi. Insomma, per i partigiani anti DPC (dittatura del politicamente corretto) è un grande momento: essa esiste, essa è tra noi (anche se la stessa Applebaum, intervistata dall’Huffington Post italiano qualche tempo fa, precisò che sono realtà più americane che europee).
Ma ecco il New York Times che piomba nel dibattito: contrordine, compagni puritani e non, non c’è nessuna cancel culture, semplicemente siete vecchi voi. In un pezzo di opinione scritto lunedì, la giornalista e saggista di sinistra Michelle Goldberg si butta su “The chair”, nuova serie Netflix (nella foto), che sfotte il politicamente corretto nel suo brodo di coltura, e cioè la famigerata accademia americana. Il plot: una docente di origine asiatica, dopo una vita a combattere i razzismi sulla pelle sua, si ritrova finalmente “chair” cioè direttrice del dipartimento di letteratura di una piccola ma prestigiosa università. Lì deve combattere una rivolta degli studenti contro un già eccellente professore in crisi di mezza età, che un giorno, mezzo ubriaco, per ridere si mette a fare il saluto romano (dunque polemiche, panico, il professore è nazista, eccetera).
Secondo Goldberg è tutto un po’ tirato per i capelli. Se la Applebaum sostiene che la cancel culture è in realtà una lotta per il potere e l’Economist la paragona alla restaurazione in Inghilterra nel Seicento, quando a Oxford si bruciavano i libri di Hobbes e Milton, per Goldberg sono tutti un po’ esagerati. Secondo lei a portare il “normalmente sobrio” Economist a questa lamentazione sarebbe una generale crisi di mezz’età di chi detiene il potere. Timore di perdere potere e influenza, ma anche nostalgia dei vecchi tempi, quando tutto ciò che non ti uccideva ti rafforzava, mentre oggi bullizzazioni e battutacce non fanno più tanto ridere. Goldberg cita la scrittrice femminista Maggie Nelson e il suo nuovo libro “On Freedom”: dove si registra come “può essere una tentazione, per quelli di noi che hanno più di 40 anni, giudicare il momento attuale in confronto alle circostanze idealizzate della nostra giovinezza, e trovarlo meno divertente, meno libero”.
Come al solito il paragone con l’Italia viene malissimo: e non solo perché il saluto romano non ha mai distrutto alcuna carriera, ma soprattutto perché generalmente i 40 anni sono la soglia in cui ci si affaccia al mercato del lavoro. La nostra generazione infatti è troppo presa a cercare di pagarsi un mutuo, così la protesta contro cancel culture e affini è affidata generalmente – tranne gli attivisti professionisti che ne fanno business. - a settantenni che sono appena giunti all’apice della carriera e dunque non vedono di buon occhio i “regime change” (e hanno tempo di lamentarsi).
Peraltro, in “The Chair”, la povera professoressa è in mezzo a due fuochi: da una parte gli studenti superwoke, dall’altra un corpo docente rincoglionito e anzianissimo che non ne vuole sapere d’andare in pensione. Perfetta metafora di come ci si possa sentire, questa volta, anche in Italia, presi da una parte da attivistə scatenatə molto idealistə ma che non disdegneranno magari talvolta poltrone e cattedre via schwa, e dall’altra da anzianə trombonə forse ugualmente idealistə che poltrone e cattedre non le vogliono proprio mollare. Siamo come al solito costretti al fatale appuntamento italiano, non con la storia ma col terzismo? (Nella puntata finale, si scuserà lo spoiler, la professoressa esausta si dimette, si prende cura dello pseudo nazista, ci si fidanza pure: forse è scritta da uno sceneggiatore italiano, o forse dalla Palombelli).
L'editoriale dell'elefantino