L'opposizione russa senza voce

Proekt, VTimes, Meduza e gli altri. C'è chi chiude e chi minaccia un'ultima inchiesta

Micol Flammini

In vista delle elzioni per la Duma che si terranno a settembre, il Cremlino silenzia oppositori e testate giornalistiche. Un elemento alla volta, a colpi di etichette: queste

Più ci si avvicina alle elezioni di settembre per rinnovare la Duma, la Camera bassa dell’Assemblea federale russa, più l’unico dato da osservare per capire il livello di popolarità di Russia unita, il partito di Vladimir Putin, sembra essere l’affluenza. Gli oppositori da osservare ormai non ci sono più, e si attende, contando i giorni, di capire quale sarà il destino riservato al partito di opposizione Jabloko: potrà partecipare alle elezioni? Si sente una sola voce in questa campagna elettorale che non esiste, ed è la voce del Cremlino che sta trasformando a gran rapidità l’universo elettorale russo. Lo fa a colpi di etichette dal suono burocratico, ma che stanno creando il vuoto, il silenzio attorno al presidente Vladimir Putin e ai suoi candidati. Venerdì scorso il sito di inchiesta Proekt, che negli ultimi mesi aveva tirato fuori molti scandali che riguardavano la cerchia del presidente e il presidente, si è ritrovato addosso l’etichetta di “organizzazione indesiderata”. Nei mesi scorsi la stessa sorta è toccata a Russia aperta, il gruppo fondato dall’oligarca Mikhail Khodorkovski. Altre testate – Meduza, VTimes, Radio Free Europe Liberty – sono invece diventate “agenti stranieri”. 

 

Proekt ha promesso che prima di mollare pubblicherà  una grossa inchiesta, ma lo status di “organizzazione indesiderata” rende impossibile proseguire l’attività:  equivale all’ordine di interrompere il lavoro dentro ai confini russi. La legge sulle “organizzazioni indesiderate” era stata approvata nel 2015 e aveva come obiettivo le ong. Proekt è la prima testata a riceverla e i suoi giornalisti adesso rischiano multe e anche pene detentive. Andrei Pivovarov, capo di Russia aperta, è stato arrestato, nonostante avesse annunciato la settimana prima lo smantellamento della sua attività e fosse pronto a lasciare il paese per la Polonia: era già a bordo di un aereo ed è stata fermato poco prima del decollo. Per gli “agenti stranieri” invece non c’è l’obbligo di fermare il proprio lavoro, ma chiunque riceva questo status deve segnarsi in un elenco apposito che comporta più controlli per la testata e per tutti i giornalisti, ma rende soprattutto più complicati i finanziamenti: VTimes, rifugio di molte penne prestigiose di opposizione, ha dovuto chiudere. 

 

Si cerca di capire chi sarà il prossimo, mentre le etichette colpiscono non soltanto testate e organizzazioni, ma anche individui. C’è invece chi decide di chiudere tutto, di sparire per prevenire future ritorsioni. Komanda 29, un’associazione che si occupava di diritti umani, ha annunciato la sua chiusura e uno dei suoi esponenti più importanti, l’avvocato Ivan Pavlov, ha detto che avrebbe cessato la sua attività. Pavlov ha rappresentato Alexei Navalny e il suo gruppo in tribunale, ha cercato di difendere fino all’ultimo la Fondazione anticorruzione dell’oppositore che da febbraio si trova  in una colonia penale. Ma  nonostante i suoi sforzi tutto quello che è legato a Navalny è finito sotto un’altra etichetta, quella di estremista

 

Vladimir Putin, che ama sempre meno le apparizioni in pubblico – parla a voce  più bassa – ha deciso di cancellare tutte le altre voci, quelle che raccontano  una Russia che il Cremlino non condivide. Il presidente si è messo anche a pubblicare articoli storici e nel frattempo limita l’attività di associazioni che si occupano di recuperare informazioni sui gulag e i crimini di Stalin, rendendo così la Russia non soltanto un paese senza voce, ma anche senza storia.   

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.