Batterie e microchip, la grande guerra di Biden

L'America è a caccia di energia per il suo piano green, ma per non essere dipendente dalla Cina ha bisogno dell'Ue

Giulia Pompili

Tutti gli apparecchi tecnologici che usiamo, dalla Difesa agli smartphone, hanno bisogno di batterie: sempre più resistenti, capienti, sicure. La pandemia e la guerra commerciale Usa-Cina ci hanno fatto realizzare quanto siamo dipendenti dall'Asia orientale, anche in questo settore

Il presidente americano Joe Biden è a caccia di batterie. Anche in Europa. In un articolo firmato sul Washington Post, Biden scrive che durante il suo tour europeo  vorrà assicurarsi “che le democrazie di mercato, non la Cina o chiunque altro, scrivano le regole del XXI secolo sul commercio e la tecnologia”. E ci sono interi pezzi della catena di produzione tecnologica in cui l’America è rimasta indietro. Come per i semiconduttori, anche per le batterie l’Amministrazione sta cercando di rendersi indipendente dalla Cina.

 


Se i semiconduttori sono i cervelli dei nostri apparecchi tecnologici, le batterie sono l’energia necessaria a far funzionare quegli  apparecchi. Dall’industria militare ai laptop, dallo smartphone alla sigaretta elettronica fino agli stimolatori cardiaci, abbiamo sempre più bisogno di batterie, e che durino il più a lungo possibile.  L’invenzione di una batteria che duri a lungo e che sia sufficientemente potente è considerata il prossimo disruptor dell’industria tecnologica, per ovvie ragioni: è la prima concorrente di petrolio e gas, da cui fino a oggi sono dipesi gli equilibri geopolitici globali. 

 


Negli ultimi due anni la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e la pandemia hanno dimostrato la facilità con cui si può spezzare la  fragile e articolata catena di produzione  delle batterie. E’ per questo che una delle priorità dell’industria americana è la loro produzione, e soprattutto il reperimento dei minerali utilizzati nelle batterie dei veicoli elettrici e nell’elettronica di consumo. Secondo un report visto da Reuters, la Casa Bianca ha finito la revisione dei primi cento giorni di presidenza Biden riguardo alle catene chiave di approvvigionamento del paese – tra cui c’è anche quella delle batterie – e la conclusione è che sarà chiesto alle aziende americane di riciclare tutto il possibile.


 Il riciclaggio delle batterie domestiche, ma soprattutto dei “minerali critici” che le compongono come litio, fibre di carbonio, cobalto, significa essere meno dipendenti dalle miniere altrui, fuori dai confini nazionali, e dalle batterie da importazione. Entro il 2040 l’America avrà bisogno del 55 per cento del rame in meno, del 25 per cento in meno di litio, e del 35 per cento in meno di cobalto e nikel. Non si butta via niente: è il mantra necessario per far diventare l’America, nei progetti di Biden, leader soprattutto nel settore delle auto elettriche. Che a sua volta è un pezzo fondamentale della sua strategia contro i cambiamenti climatici – anche se non è chiaro, per ora, quale sarà l’energia alternativa a quelle più inquinanti con cui verranno “caricate” le batterie dei veicoli elettrici. 


C’è poi un altro enorme problema politico. Perché oggi a dominare la produzione di batterie, manco a dirlo, è la Cina: secondo il Washington Post nel Celeste impero sono attive 93 “gigafabbriche” che producono batterie agli ioni di litio, le più diffuse. Negli Stati Uniti attualmente ce ne sono soltanto quattro. “Se le attuali condizioni continueranno, si prevede che la Cina avrà 140 gigafabbriche entro il 2030, mentre l’Europa ne avrà 17 e gli Stati Uniti solo 10”. Nell’Unione europea esiste addirittura una European Battery Alliance, lanciata nell’ottobre del 2017 e rifinanziata nel 2020 insieme con la European Raw Materials Alliance, due consorzi complementari che mirano a far diventare l’Unione europea “quasi autosufficiente” nella produzione di batterie entro il 2025. Per l’America, ancora dipendente dalla Cina, è tutt’altra storia. A metà aprile il presidente americano ha annunciato che due tra le più potenti aziende sudcoreane di batterie, la LG Energy Solution e la SK Innovation, hanno risolto in maniera extragiudiziale una disputa che andava avanti da mesi grazie all’intercessione dell’America. Questo ha permesso di mandare avanti i progetti di due megafrabbiche di batterie sudcoreane in Georgia. Che però non sono sufficienti. La catena di approvvigionamento China-free di Joe Biden è ancora lontana. Ed è per questo che gli servono, ora più che mai, gli alleati: in Asia e in Europa. 
 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.