(foto Ansa)

L'hangar del nitrato nel porto di Beirut

Daniele Raineri

L’esplosione catastrofica nella capitale libanese è stata causata da un incidente. L’esperto: “La nuvola rossa è nitrato d’ammonio”. Senza il porto, la città muore di fame

Roma. Un’esplosione potentissima, tanto che qualcuno l’ha scambiata per una bomba atomica, ha devastato l’area del porto di Beirut e altri quartieri della capitale libanese. Per ora non si conosce il numero dei morti, il conteggio provvisorio supera i cento ma è certo che ce ne siano di più perché l’onda d’urto ha raso al suolo un pezzo intero della città. Non si conosce ancora la causa ufficiale dello scoppio, ma una fonte della Pubblica sicurezza dice che a esplodere è stato un magazzino che conteneva un quantitativo enorme di nitrato di ammonio recuperato da una nave in difficoltà qualche anno fa e stoccato in un hangar. Quella sostanza, che è in commercio come fertilizzante, è molto pericolosa perché può esplodere e per questo molti gruppi terroristici la usano negli attentati.

    

   

Le immagini mostrano bene che l’esplosione è avvenuta mentre era già in corso un incendio nel magazzino. Questo esclude due ipotesi che tutti hanno fatto trattandosi di Beirut, dove la situazione politica e militare non è mai del tutto stabile. La prima è che si trattasse di un attentato da parte del gruppo armato Hezbollah contro qualcuno dei suoi rivali, la seconda è che si trattasse di un attacco israeliano contro un deposito di armi di Hezbollah – come quelli che avvengono spesso in Siria. Fonti militari israeliane alla tv hanno subito preso le distanze e hanno detto che l’edificio esploso a Beirut non è un deposito di armi di Hezbollah. Dan Kaszeta, un esperto di chimica che ha lavorato nel settore militare, dice al Foglio che il colore rossastro della nuvola dopo l’esplosione indica che la sostanza esplosiva era nitrato d’ammonio. Qualcosa ha fatto partire un incendio nel deposito di fuochi d’artificio, spiega guardando i video, che a loro volta hanno innescato l’esplosione nell’hangar del nitrato.

   

       

Il disastro accidentale arriva in un momento di crisi profondissima e potrebbe aggravare l’emergenza umanitaria che in questi mesi colpisce il Libano. Il paese importa tutto, anche il sessanta per cento del cibo che consuma, da fuori, e adesso il porto e i depositi sono stati distrutti, con tutte le scorte che contenevano e i terminal per ricevere le importazioni dall’estero. Il terminal del grano è quello che si vede saltare in aria nei video dell’esplosione, da lì passa quasi tutto il fabbisogno del Libano, di solito comprato dalla Russia. E’ possibile che il medesimo problema ci sarà per il carburante, che arriva al porto da Kuwait e Algeria, e alimenta le centrali elettriche.

        

           

In queste settimane le immagini dei satelliti hanno raccontato alla perfezione la situazione: Beirut di notte è al buio. Il Libano è in default finanziario, la pandemia ha accelerato un’implosione già in corso e per un paese che non produce nulla sul suo territorio, la svalutazione della lira rispetto al dollaro ha reso l’approvvigionamento all’estero impossibile. Manca il cibo, manca il combustibile, le centrali elettriche funzionano per poche ore al giorno, i generatori privati sono al collasso e il loro utilizzo è stato razionato. Gli ospedali, già messi sotto pressione dal coronavirus, ieri non riuscivano a curare i feriti che arrivavano sui pick-up, a gruppi. Da Beirut dicono che i blackout sono peggiori rispetto a quelli degli anni Ottanta, quando c’era la guerra civile, ma forse è una percezione dettata dal fatto che senza energia non si possono ricaricare nemmeno i telefoni e i computer e all’assenza di luce si somma anche l’assenza di un accesso alla rete e al resto del mondo. A ottobre un’ondata di proteste di piazza aveva provato a ottenere un qualche tipo di cambiamento e in effetti era riuscita ad arrivare alla formazione di un nuovo governo, che però ha tutti i tic e i difetti dei vecchi governi e non ha riformato nulla. Jenan Moussa, una delle giornaliste più informate della regione, è libanese e ieri ha scritto su Twitter: “Quanto peso può sopportare un popolo tutto in una volta?”.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)