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Capitolazione sanità

Daniele Raineri

Il Covid-19 costringe l’America alla regressione medica. Si rinuncia alle rianimazioni, “troppo rischiose”

Roma. La crisi da coronavirus provoca una regressione del sistema sanitario in America, che è la nazione più avanzata al mondo ma in queste settimane affronta discussioni e scelte da paese sottosviluppato. Il Washington Post spiega che in molti ospedali stanno chiedendo istruzioni su come comportarsi quando sarà il momento di tentare la rianimazione “a tutti i costi” dei pazienti in caso di crisi cardiaca o respiratoria – che sono frequenti negli ammalati terminali di Covid-19. Il problema è che medici e infermieri non hanno a disposizione una quantità infinita di materiale protettivo e rianimare un paziente richiede un contatto molto ravvicinato. Si chiedono: dobbiamo procedere lo stesso? Per ora si arrangiano come possono. Al George Washington Hospital di Washington stendono un telo di plastica sul paziente, in modo da limitare il contatto. A Seattle, uno dei focolai più estesi, hanno ridotto al massimo il numero dei presenti nella stanza dove si tenta la rianimazione in modo che se c’è la possibilità di un contagio non devono mettere tutta una équipe in quarantena – c’è il rischio concreto di restare senza medici e infermieri in pochi giorni. Lewis Kaplan, presidente della Società di medicina intensiva e chirurgo in Pennsylvania, dice: “Siamo in regime di crisi: non valgono più le regole di prima, chi prima arriva prima è servito, tentiamo tutto il possibile, usiamo tutto quello che abbiamo a disposizione. Non siamo più lì. Ora stiamo affrontando scelte difficili su come usare le risorse mediche – staff inclusi”.

 

Richard Wunderink, direttore di uno dei reparti di terapia intensiva di Chicago, dice che finora ha visto tutti i malati più gravi passare per un declino lento e non ha visto schianti improvvisi e questo ha lasciato il tempo di parlare con le loro famiglie. I dottori hanno spiegato che in caso di complicazioni devono scegliere se mettersi le tute protettive e quindi sprecare minuti preziosi oppure intervenire per rianimare ma rischiare di essere contagiati.

 

Molte famiglie, dice Wunderink, acconsentono a firmare un foglio che solleva i dottori dall’obbligo della rianimazione, considerata la situazione di difficoltà. Robin Alta Charo, una specialista in bioetica dell’Università del Wisconsin, dice che sebbene sia inquietante fare questi discorsi in un paese ricco come l’America occorre essere pragmatici. “Non sarebbe di nessun aiuto se dottori e infermieri si ammalassero e non fossero più in grado di prendersi cura di noi. Il processo di rianimazione li fa rischiare di più”.

 

Due giorni fa anche lo stato del New Jersey ha preso la decisione di formare una commissione bioetica di 30 persone per scrivere delle linee-guida da distribuire agli ospedali come hanno già fatto altri stati, serviranno ai medici per decidere quali malati attaccare agli apparecchi per la respirazione e quali no, nel caso si dovesse arrivare a questo tipo di decisioni. Il New Jersey è vicino a New York, che in questo momento è il focolaio più pericoloso degli Stati Uniti e ha la maggioranza dei contagiati nel paese – con un’accelerazione del virus tale da raddoppiare il numero dei positivi ogni tre giorni. La commissione dovrà consegnare le sue conclusioni la settimana prossima al dipartimento della Sanità dello stato. La stessa cosa è stata fatta nello stato di Washington, dall’altra parte del paese – il secondo focolaio più virulento – dove una commissione ha prodotto un documento di 50 pagine per fornire “un approccio trasparente, equo e costante nell’allocazione di risorse scarse durante una emergenza conclamata”, In parole povere, per decidere chi respirerà e chi no. I dottori dovranno considerare la sopravvivenza a breve termine, quindi la presenza di altre malattie del cuore, dei polmoni e del fegato. Inoltre devono controllare altri parametri come la salute generale, le capacità cognitive e la perdita di energia o di abilità fisiche. Gli ospedali inoltre devono fare una valutazione giornaliera di tutti i pazienti in terapia intensiva per capire se stanno migliorando, se stanno peggiorando oppure se sono stabili. Se peggiorano, gli ospedali devono prendere in considerazione il passaggio a cure palliative – quando non c’è più nulla da fare. Il documento raccomanda che le decisioni siano prese da un gruppo di persone che deve comprendere medici senior che non si occupano direttamente del paziente. La commissione etica ancora al lavoro nel New Jersey ha creato un sistema a punteggio “basato su criteri oggettivi” per garantire che tutti “siano trattati in modo equo sulla base di come sono presentati dal punto di vista clinico”. Alla stesura partecipano dottori, infermieri, assistenti sociali, preti e avvocati. Il responsabile che si occupa dei lavori dice che spera non ci sarà bisogno delle linee-guida.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)