La deriva irresponsabile nell'Afd
Sette anni, due scissioni: così nel partito tedesco è diventato prevalente l'estremismo. Storia di una trasformazione xenofoba
Milano. Dirk Nockemann detesta fare volantinaggio: è il momento in cui sente che cosa dicono le persone del suo partito, l’Alternative für Deutschland (AfD). Nockemann è il candidato del partito ad Amburgo, la città-stato del nord tedesco che domani ha le elezioni: la campagna elettorale è stata sospesa dopo l’attacco razzista a Hanau – nove morti – ma qui gli slogan xenofobi e antisemiti dell’AfD non hanno mai avuto successo. Nockemann lo ha detto nei suoi comizi: il modello applicato nell’est della Germania qui non potrà mai funzionare (anche i comizi sono tutti diversi: non si scandiscono slogan dal palco, si risponde alle domande dei partecipanti, a volte Nockemann non ha trovato le parole).
Il Parlamento di Amburgo è stato il primo ad aver accolto l’AfD sui suoi banchi (otto) nel 2015, il primo dell’ovest della Germania. Alle elezioni di domani – in cui con tutta probabilità sarà confermata la coalizione ora al governo, Spd e Verdi – il consenso dell’AfD è al 6-7 per cento. Ma dopo Hanau, dopo che buona parte dell’AfD ha trattato la strage come una follia di un disagiato e ha deciso di non assumersi la responsabilità di aver contribuito al “veleno razzista” di cui parla la cancelliera Angela Merkel, i cittadini di Amburgo hanno una speranza: vogliono essere i primi a dimostrare che il cordone sanitario contro l’AfD è saldo, relegando il partito sotto la soglia del 5 per cento.
Amburgo e il 2015 sono elementi decisivi della storia dell’AfD: quando alcuni esponenti dicono che l’estremismo è di pochi, dimenticano che chi non era estremo se n’è andato – proprio nel 2015, quando l’AfD, fondato soltanto due anni prima, sceglie di cavalcare la retorica anti immigrazione contro la Merkel. Da partito euroscettico fondato da economisti conservatori che avevano lavorato con e per la Cdu merkeliana, l’AfD inizia a trasformarsi in quel che è oggi: l’euroscetticismo diventa nazionalismo, il nazionalismo diventa razzismo. Bernd Lucke, uno dei tre fondatori dell’AfD nel 2013 che ha perso il confronto con l’ala più estrema nel 2015 ed è uscito dal partito, dice al Times: “L’AfD è oggi il partito della rabbia, per essere un conservatore vero devi rispettare la Costituzione e prendere le distanze dall’estremismo di destra e il nativismo. Nessuno nell’AfD oggi può farlo e risultare credibile”.
La scissione del 2015 fu determinata da tre questioni: chi stava con la Russia per l’annessione della Crimea e chi no; chi voleva tendere la mano a Pegida, partito neonazista, e chi no; chi voleva parlare di riforme liberali contro il centrismo stagnante della Merkel, e chi voleva solo alimentare il clima anti immigrazione. Lucke perse (duemila membri andarono via con lui), vinse la linea dura incarnata da Frauke Petry. Ma pure la Petry, nel 2017, è stata sopravanzata dai più estremi, che fanno capo al Flügel (ala, fronda) di Björn Höcke, il regista dell’ascesa xenofoba e antisemita dell’AfD in Turingia. Anche con la seconda scissione, molti se ne andarono. Sono rimasti i più duri, quelli che il nazismo è “un granello di cacca d’uccello in più di mille anni di storia tedesca”, quelli che non hanno quasi più memoria dell’inizio. Ad Amburgo Nockemann è un’eccezione: è arrivato nel 2013 e c’è ancora. Dice che uno dei meriti dell’AfD è quello di aver reso ammissibili nel dibattito pubblico temi tabù che vanno affrontati. Ha fatto il giro dei social tedeschi la risposta di una cittadina di Amburgo: mi sembra di vederlo nei tuoi occhi, ha detto la signora a Nockemann, quel “granello di cacca d’uccello” che tutti noi chiamiamo nazismo.
L'editoriale dell'elefantino