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Con l'America o con la Cina. Da che parte sta l'Italia all'Onu?

Giulia Pompili

La Farnesina di Luigi Di Maio non si esprime ancora sul candidato strategico alla guida del Wipo. C’è una ragione politica

Roma. L’Italia è di nuovo impantanata tra America e Cina, tra vecchi e nuovi amici. Il problema è che dal marzo dello scorso anno, quando è stato firmato il memorandum d’intesa sulla Via della Seta tra Roma e Pechino, l’Italia è considerata sempre meno affidabile da entrambi i partner, col risultato che a ogni decisione che prendiamo le conseguenze sono parecchie, sul piano diplomatico e quindi anche sul piano commerciale. La prossima partita si gioca nel campo delle Nazioni Unite, in un’agenzia piuttosto strategica, l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (Wipo). E l’Italia non ha ancora detto se voterà per il candidato promosso dall’America oppure per quello cinese. Washington non si fida del governo italiano – soprattutto del ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, che ha firmato la Via della Seta e più di una volta ha coccolato la propaganda cinese, per esempio su Hong Kong. Pechino non si fida più del governo italiano: nel momento del bisogno – cioè l’emergenza coronavirus – l’Italia è stato il primo paese a chiudere i voli da e per la Cina, una decisione che ha avuto e continuerà ad avere conseguenze.

 

L’attuale direttore generale del Wipo è l’australiano Francis Gurry, che ha guidato l’agenzia sin dal 2008, per due mandati da sei anni. Il suo incarico scade il 30 settembre del 2020, e già dal settembre del 2019 sono iniziate le consultazioni tra i governi dei paesi membri (che sono 192) per eleggere il nuovo direttore generale. In periodi di guerre commerciali e corse tecnologiche l’istituzione che regola la proprietà intellettuale a livello internazionale è considerata tra le più potenti dell’Onu. E la sua trasparenza e indipendenza deve essere granitica: per avere la protezione internazionale sulla propria invenzione, un’azienda manda una proposta con la descrizione dettagliata al Wipo, che ne fa un’analisi e poi decide. In quel periodo di tempo qualunque brevetto potrebbe essere trafugato. Come abbiamo già scritto su queste colonne, negli ultimi anni la Cina di Xi Jinping sta cercando in tutti i modi di influenzare l’agenda delle agenzie dell’Onu, e soprattutto di conquistarne la leadership: l’anno scorso si è aggiudicata il direttore generale della Fao con Qu Dongyu, e Pechino è già a capo dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni, dell’Organizzazione per lo sviluppo industriale e dell’Organizzazione dell’aviazione civile. Un record per un solo paese. Dalle notizie delle ultime settimane sappiamo che l’influenza cinese è molto presente anche all’interno dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ora tocca alla proprietà intellettuale: su dieci nomi selezionati come possibili direttori generali ci sono due candidati favoriti. Il primo è Daren Tang, di Singapore, già direttore dell’ufficio locale per la proprietà intellettuale della città-stato (Singapore è al quarto posto nell’International Property Rights Index). L’altra candidata è la cinese Wang Binying, che dal 1999 lavora al Wipo. Studi in Legge a Changsha, e poi specializzazioni a Berkeley e alla Columbia. L’Italia ha un posto nel Comitato di coordinamento, quello composto da un’ottantina di paesi che hanno diritto di voto. E mentre i governi e i rispettivi ministri degli Esteri dell’Alleanza atlantica, compresi quelli di Francia e Germania, hanno già fatto quadrato attorno a Daren Tang, la Farnesina non si è ancora espressa, mentre secondo fonti del Foglio le pressioni americane sul governo italiano si fanno più serrate.

 

Del resto, quello con Pechino non era soltanto un accordo commerciale – come il governo gialloverde voleva a tutti i costi dimostrare. Era un accordo politico e strategico, che peraltro, nei primi nove mesi del 2019, ha portato ad aumentare ancora di più il disavanzo commerciale tra Italia e Cina, con l’export in calo di 0,2 miliardi e l’import in aumento di 1,3 miliardi (dati Eurostat). Dopo il pasticcio sulla collaborazione tecnologica tra Italia e Cina in campo aerospaziale, con l’ex ministro Fioramonti che annuncia lo stop e i grillini confusi, c’è stato lo schiaffo dei voli a causa del coronavirus. Di Maio dovrà presto decidere se dare l’ennesimo dispiacere a Xi Jinping.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.