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La doppia visita

In Libia Di Maio sceglie la politica dei due forni vuoti. La triangolazione tardiva

Francesco Maselli

Il ministro degli Esteri incontra Serraj e Haftar, atteso in Italia nei prossimi giorni. Il ruolo di russi e turchi e il nostro inviato. La nota rivelatrice

Milano. Luigi Di Maio è andato in visita in Libia per la prima volta da quando è stato nominato ministro degli Esteri e ha incontrato i due principali avversari della guerra civile, il generale Khalifa Haftar e il presidente del Consiglio libico, Fayez al Serraj. L’obiettivo, spiega l’entourage del ministro, era “riprendere la leadership in Libia dopo il terreno perso nei mesi scorsi”. Una candida ammissione del ritardo accumulato e della necessità di “lavorare in questo senso perché l’Italia torni ad assumere un ruolo di protagonista e di leadership”, perso, dunque, a causa dell’immobilismo del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in carica dal giugno 2018, e dello stesso Luigi Di Maio, vicepresidente del Consiglio dal giugno 2018 al settembre 2019 e adesso ministro degli Esteri.

 

Il viaggio di Di Maio, organizzato in pochissimo tempo, dimostra che la nostra diplomazia, affiancata dai “cugini” dei servizi segreti, sa ancora come muoversi in Libia. Il problema è l’utilizzo politico di questo piccolo vantaggio competitivo, ci spiega un diplomatico italiano: “L’Italia è la nazione europea che conosce meglio la situazione sul terreno e ha canali aperti con tutte le tribù. Abbiamo un vantaggio che però viene spesso vanificato dalla mancanza di strategia politica: sapere con chi parlare non si traduce necessariamente in influenza. E in questa fase l’influenza ce l’hanno turchi e russi, non certo noi”. Soprattutto perché la nostra strategia, fino alla fine del 2017 abbastanza intellegibile, è diventata molto più ambigua. Tanto che a poche settimane dall’inizio dell’offensiva di Khalifa Haftar, che assedia a Tripoli il governo di Fayez al Serraj, sostenuto dall’Italia e riconosciuto dalle Nazioni Unite, Giuseppe Conte chiarì che l’Italia non stava “né con Serraj né con Haftar, ma con il popolo libico”. Un errore politico, che ha contribuito a indebolire la posizione italiana.

 

Il nostro governo mostra di non imparare dai propri errori: per negoziare in Libia occorre avere una posizione chiara e qualche moneta da scambiare. Ma Roma non ha né l’una né l’altra cosa: annuncia che ci sarà un inviato italiano che gestirà l’iniziativa a livello europeo, ma appare molto strano l’entusiasmo dell’entourage del ministro, che ha fatto filtrare come Di Maio abbia “ripreso il pallino in mano e al primo viaggio in Libia incassato l’endorsement di Haftar”. L’endorsement non presuppone però un cessate il fuoco, vero obiettivo della nostra diplomazia, ma soltanto una concessione importante da parte italiana: il consolato a Bengasi che, sempre secondo l’entourage del ministro, “l’Italia vuole aprire per piantare un’altra bandiera con la controparte”. Insomma, è Haftar, atteso a Roma nei prossimi giorni, che ha incassato l’endorsement di Di Maio, non il contrario. La scelta di riaprire il consolato in una città controllata da Haftar senza avere nulla in cambio e a conflitto ancora in corso sarebbe incomprensibile, anche perché farebbe soltanto innervosire Serraj e Tripoli.

 

La posizione italiana è ulteriormente complicata dal massiccio investimento compiuto dai padrini delle due parti in conflitto, specialmente da parte di turchi e russi. Il gioco, nel paese nordafricano, è da tempo molto più grande della Libia stessa, si intreccia con quanto accade in medio oriente e subisce l’influenza della politica espansionistica di Turchia e Russia.

 

Secondo Mario Giro, ex viceministro degli Esteri dal 2013 al 2018 e oggi esponente di Democrazia solidale, “russi e turchi hanno dimostrato di essere capaci di trovare accordi in poco tempo. L’Italia si è mossa con decisione in questa settimana perché si è resa conto di essere diventata irrilevante: l’errore è stato prendere poco sul serio l’impegno degli altri stati, che hanno un’agenda internazionale ben definita. Noi eravamo ossessionati dalla questione migratoria mentre loro aumentavano l’influenza”. Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin hanno già un incontro in agenda: i due, costantemente in contatto, si vedranno ai primi di gennaio per discutere di tutti i dossier internazionali più importanti, Libia compresa.

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