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Se l'Europa è un meme

Micol Flammini e Paola Peduzzi

L’Ue si racconta (ridendo) con delle immagini virali, mentre aspetta le audizioni, studia l’impeachment americano (e i suoi mostri), rivendica i baci dati e si innamora dei criceti

La nuova Unione europea è ancora sospesa, la vecchia è ormai arrivata ai saluti e raccontarci sta diventando sempre più difficile. Cercando di interpretare i sorrisi, gli sgambetti, le dichiarazioni e le lacrime, ci è venuta in aiuto una di quelle scoperte che si possono fare soltanto per caso: una squadra che si occupa di comunicazione e lo fa utilizzando i meme. La direzione generale per i meme satirici e il divertimento sobrio – in breve DG MEMEprende la politica europea e la trasforma in meme.

 

  

DG MEME è una squadra di funzionari europei in incognito che di fronte alla noia percepita dei valori europei è passata alle emozioni

La Romania non riesce a tirare fuori il nome del futuro commissario? DG MEME lo racconta con una ragazza immobile davanti a uno scaffale vuoto. Günther Oettinger prepara il suo ultimo discorso? In meme viene tradotto con il commissario per il Bilancio in tv e Samara, la spaventosa bambina del film The Ring, che esce dallo schermo. La Brexit e la crisi di governo estiva dell’Italia hanno reso la squadra, composta per lo più da funzionari europei – sì proprio i grigi burocrati, che però preferiscono rimanere anonimi – molto produttiva. Ma anche il valzer della Commissione di Ursula von der Leyen, protagonista indiscussa dei meme, offre diversi spunti.

  

 

“Stavo assistendo a un incontro sulle strategie di comunicazione da adottare durante le elezioni europee – ci dice il capo dei memizzatori europei – Mi sembravano inefficaci. Ho sentito come una perturbazione nella Forza e ho deciso di provare a fare qualcosa per migliorare la situazione”. Da Star Wars a Winnie the Pooh, è nato il progetto di raccontare l’Europa, così, scherzando e coinvolgendo. “È infotaining, a un certo punto anche le gerarchie europee si sono accorte di noi e siamo diventati come un organo di controllo, in molte riunioni ho sentito dire ‘se pubblichiamo questo finiamo su DG MEME’”.

 

Angela Merkel che celebra la libertà e Jean-Claude Juncker che saluta l’Unione con una sterlina in tasca che pesa tantissimo

Sui social l’idea ha un gran successo e tra i follower ci sono anche tanti politici, ritrovarsi sulla pagina Facebook del gruppo vuol dire che forse è meglio cambiare la propria strategia comunicativa. “Le persone hanno paura di commettere errori, ed è comprensibile, l’Unione deve rimanere neutrale su alcuni argomenti e questo terrore di diventare controversi ha ucciso la creatività. Il risultato è una comunicazione inefficace. Questo non vuol dire che non esistono persone creative nelle istituzioni, ci sono stati anche esempi positivi come la campagna Galileo o il cortometraggio EUandMe”.

 

In meme si trasforma ogni discorso riconducibile alla cultura pop, più il riferimento è intuitivo, più il meme diventa virale. “Per esempio la frase ‘We were on a break’ di Friends si è adattata subito alla Brexit”. Uno degli obiettivi di DG MEME è rendere l’Europa appassionante, perché in realtà è piena di spunti, di storie, di idee, ma la difficoltà è dare un’organizzazione, raccontare questo magma di valori. Più spesso è accaduto il contrario, che fossero i nazionalisti e gli euroscettici a fare una comunicazione più efficace e diretta. “In certi casi è meglio usare l’umorismo e far capire che le loro affermazioni sono ridicole. Durante la campagna per la Brexit, la Commissione ha affrontato tutte le notizie false che giravano con uno special team che si occupava di debunking per raccogliere tutto il materiale dei tabloid e mostrare come fosse stato distorto. Nessuno ha mai letto il report, di sicuro non i sostenitori del Leave. Quando i fatti non riescono ad attirare l’attenzione, dobbiamo ricorrere alle emozioni”. Concentriamoci sulle emozioni allora. Secondo gli agenti segreti di DG MEME le tre cose più importanti dell’Ue che l’Ue non riesce proprio a far capire di sé sono: quello che fa davvero, “è molto complesso”, i vantaggi che dà l’Unione, “la popolazione li dà per scontati”, l’insignificanza dei singoli stati nazionali, “in un mondo globalizzato sarebbero irrilevanti”.

 

   

Un goffo tentativo per emozionare lo ha fatto la nuova Commissione con la creazione del commissario per la protezione della European way of Life. “Volevano fare una cosa di destra, ma non volevano farla sembrare troppo di destra. Alla fine hanno deluso tutti”. Arriviamo ai saluti e alle classifiche. EuPorn adora Donald Tusk, per noi è il comunicatore più bravo di tutti in Ue: “Mi è piaciuto il suo ‘Un posto speciale all’inferno’ e altri tweet. Ma mi sono piaciute anche alcune osservazioni di Jean-Claude Juncker. E’ davvero un tipo divertente, hanno sempre costruito un’immagine noiosa attorno a lui”. Il più bravo allora chi è? “David Sassoli potrebbe essere un buon comunicatore. Anche Margrethe Vestager fa un buon lavoro, specialmente nella sua area di competenza. Tra i deputati mi piace molto Seb Dance, avete presente quello con il cartello ‘He is lying to you’? Per il resto, non vedo l’ora di essere sorpreso”. E il meme che ha avuto più successo? “Qualsiasi cosa faccia Berlusconi si trasforma in meme di successo, quelli con lui sono sempre i meme che fanno più engagement”.

  

 

Le promesse delle donne

La Commissione ha quasi raggiunto la parità di genere, ma le donne a tutti i costi sono spesso più un pretesto che una priorità

La rosa dei candidati alla Commissione europea di Francia, Romania e Ungheria è completa, ora che anche il neogoverno di Budapest ha fatto la sua proposta: un uomo e una donna, entrambi europarlamentari. Il governo di Ludovic Orban preferiva l’uomo, Siegfried Muresan, ma ha vinto la questione della parità di genere tanto cara a Ursula von der Leyen, quindi è stata scelta Adina Valean (secondo l’iniziativa civica Romania Alege che ha fatto vetting su buona parte dei candidati romeni all’Europarlamento, sembra eurocompatibile). La parità non c’è ma quasi (15 a 12), poteva andare molto peggio, e agli inglesi che non vogliono nemmeno indicarlo, un commissario, la von der Leyen ha detto: voglio una donna. A insistere sulla questione femminile sono ancora, soprattutto, i socialdemocratici che sono parecchio innervositi: non dall’equilibrio dei sessi, ma dalla politica. La Romania prima era di sinistra e ora è di destra, quindi il prossimo commissario apparterà ai popolari, cosicché la Commissione entrante sarà più di destra rispetto alle premesse. Le donne a tutti i costi sono più un pretesto che una priorità: una promessa, al limite.

 

Il diplomatico, l’impeachment e Yulia

Gordon Sondland era fissato con la politica, ha detto sua moglie Kate Durant, un’altra fissata con la politica (e con Ayn Rand, come suo marito), desiderava tanto essere dove si fanno gli accordi, dietro le quinte dove tutto accade. Quando è passato dal business di hotel al dipartimento di stato, chi lo conosceva ha pensato al coronamento dei sogni: Donald Trump lo ha nominato ambasciatore in Europa, una delle cariche più ambite. Sondland è arrivato a Bruxelles e si è fatto conoscere per le sue dichiarazioni molto dirette (lavora per un presidente che non ama l’Unione europea), per le sue feste e per i lavori di rinnovamento della sede in rue Zinner: una jacuzzi nuova, due bagni rifatti, un portico e una cucina professionale (da 200 mila dollari, dice la nota, chissà che meraviglia). Poi è arrivato l’informatore sulla telefonata tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e tutto è cambiato per Sondland. Gli è stato chiesto dal Congresso di testimoniare perché, sulla base di alcuni messaggi testuali, si era scoperto che Sondland era stato molto coinvolto nella gestione dei rapporti con l’Ucraina, per preciso volere del presidente. Trump gli ha detto di non presentarsi davanti ai deputati. Poi Sondland ha dovuto presentarsi e ha rilasciato una testimonianza in cui diceva di essere stato coinvolto, ricordava alcune conversazioni ma di fatto non inguaiava più di tanto il presidente.

     

Due giorni fa, Sondland ha cambiato del tutto la sua testimonianza, ha rilasciato un’altra dichiarazione in cui non ricorda ancora molte cose (non essendo un diplomatico di professione, non prendeva appunti) ma dice una cosa importante: gli aiuti militari americani all’Ucraina erano condizionati alla dichiarazione pubblica da parte di Kiev dell’apertura di un’inchiesta sugli affari dell’ex presidente Joe Biden e suo figlio Hunter nel paese. Fu quindi un do ut des, cosa che Trump e i suoi hanno sempre negato, ma che Sondland aveva confidato ad alcuni amici e collaboratori, e così ha dovuto farlo anche pubblicamente, con grande ira di Trump. Ancora nessuno ha spiegato perché è stato coinvolto Sondland, visto che l’Ucraina non fa parte dell’Unione europea: dev’essere per l’amicizia, o forse perché l’Ucraina era il posto in cui i trumpiani, per farsi notare, volevano stare. Comunque sia, in questa storia, continuano a emergere (o riemergere) personaggi da film.

 

Ve la ricordate Yulia Timoshenko? Nella vita ha fatto di tutto, il primo ministro (due volte), la rivoluzionaria, è stata in carcere, ha tentato di diventare presidente, ma soprattutto è stata al centro di uno scandalo dietro l’altro e vista la sua passione per la carriera politica tumultuosa, non ritrovare il suo nome tra le pieghe dell’Ukraingate sarebbe parso strano. Lo scorso dicembre, riporta BuzzFeed, la Tymoshenko ha incontrato l’avvocato di Trump, Rudy Giuliani, per parlare – come si leggeva in un comunicato emesso dal partito dell’allora candidata alle elezioni presidenziali – “di escalation della guerra della Russia contro l’Ucraina e dell’assistenza degli Stati Uniti al nostro paese, comprese le armi per contrastare l’aggressione russa”. L’incontro era stato organizzato dal Livingston Group, una società di lobbying con sede a Washington fondata da Bob Livingston che, secondo quanto riferito da Catherine Croft , funzionaria del dipartimento di stato audita la scorsa settimana, avrebbe spinto per il licenziamento dell’allora ambasciatrice americana a Kiev, Marie Yovanovitch. In quei giorni si pensava che la campagna elettorale sarebbe stata a due, Poroshenko contro Tymoshenko, Volodymyr Zelensky ancora non si era candidato e Yulia, sempre con la treccia e sempre incendiaria, aveva buone possibilità di vincere. E’ stato l’ex procuratore generale Yuriy Lutsenko a raccontare a BuzzFeed che durante l’incontro si parlò molto di Burisma e di una possibile inchiesta su Joe e Hunter Biden. La Tymoshenko ha negato. Ci rattrista un po’ che il colore della Rivoluzione arancione svanisca sempre di più se si pensa al suo nome, scandalo dopo scandalo, e diventi sempre più arancione-Trump.

     

La Merkel e il muro

Se oggi si festeggiassero i 70 anni della Repubblica democratica tedesca (Ddr) invece che i 30 dalla caduta del Muro di Berlino, “di certo non ci saremmo incontrati”, ha detto la cancelliera tedesca ai giornalisti dello Spiegel che l’hanno intervistata: “Forse avrei realizzato un sogno comunque. Sarei andata in pensione a 60 anni secondo le leggi della Ddr, avrei preso il mio passaporto e sarei andata in America. I pensionati, nella Ddr, avevano la libertà di viaggiare”. Il sogno: l’America, le Montagne Rocciose, ascoltare Bruce Springsteen, viaggiare su una piccola automobile, magari qualcosa di meglio di una Trabant. I tedeschi dell’ovest spesso non capiscono quelli dell’est, e anche se la vita era difficile, potevi viaggiare soltanto in Bulgaria o in Ungheria, non certo in America, riuscivi ad avere delle soddisfazioni: il muro e la dittatura segnavano la condizione generale di tutti, ma poi nella quotidianità c’erano altre cose, dice la Merkel. Ma il romanticismo per il tempo che fu, questo no: la caduta del Muro è stata “la fortuna più grande della storia tedesca”, e anche se nell’est ci sono dei problemi nessuno può azzardarsi a dire che oggi si sta peggio di allora. La Merkel è l’esempio perfetto di come una donna protestante dell’est abbia potuto diventare una leader occidentale, e anche se ora tutti parlano del suo declino, dell’ascesa della xenofobia e delle difficoltà della riunificazione, la cancelliera non cede ai ripensamenti: ha scoperto la libertà quando ormai era adulta, morirà celebrandola.

 

Un bacio per Juncker

Lunedì prossimo il presidente uscente della Commissione europea dovrà sottoporsi a un’operazione per un aneurisma cerebrale, forse tanto barcollare non era dovuto all’alcol, ma le scuse a Jean-Claude Juncker non arriveranno mai. Il tempo dei saluti per lui è iniziato un po’ prima, con quel “Vive l’Europe!” nel suo ultimo discorso da presidente, ma in un’intervista, sempre allo Spiegel, ha continuato a definire i contorni del suo europeismo. Juncker ha raccontato di quella scommessa persa nel 2016 con l’allora commissario britannico Jonathan Hill: “Tu mi dai una sterlina se perdono i remainers, io ti dò un euro se vincono. Ho ancora quella sterlina”, ha detto il presidente. E di quel rimpianto: far di più contro la Brexit, far parlare di più l’Ue nell’isola. Si è abbandonato ai ricordi di suo padre, che tra le tante cose gli aveva insegnato a non odiare i tedeschi, nonostante la guerra, e dei suoi incontri con Helmut Kohl, che “aveva l’Europa nel cuore”. Juncker è stato tra i più bizzarri della vecchia Europa, schietto, tenace e spesso molto fisico. “Una delle cose peggiori che credo si provi in prigione è l’assenza di contatto fisico”. In Unione europea lui ha baciato, schiaffeggiato e spettinato, qualcuno si è anche lamentato. Lui una vita senza contatto fisico proprio non riesce a immaginarla, eppure il suo staff, su ammissione di Juncker, lo ha spesso messo in guardia: “Non abbracciare questa o quella persona”. Ma lui lo ha sempre fatto e rivendicato: “Sono stato baciato da Erdogan, quindi l’ho baciato anche io. Ho baciato Putin e sono stato baciato da Putin. In entrambi i casi, non ho certo danneggiato l’Europa”. Il futuro fuori da Bruxelles ce lo ha bene in mente, forse scriverà le sue memorie, in che lingua? In tedesco, forse. Se non scriverà, leggerà: “Non ho paura del vuoto, a casa ho 40.000 libri da leggere”. E poi c’è sempre Platone, il suo cane.

 

“Voglio uscire da questo libro”

“Voglio uscire da questo libro” è un capolavoro illustrato che spiega la Brexit ai bambini con un gruppo di animali cortesi e indecisi

La Brexit è rimandata ma c’è, e spiegarla resta difficile per tutti. Proviamo con gli animali. Sono stati pubblicati uno di seguito all’altro due libri illustrati per bambini in cui sono degli animali a provare a fare la Brexit. In “The Little Island” di Margaret Wise Brown un gruppo di oche cerca di fuggire dalla fattoria in cui abita perché vivere in una terra così isolata e solitaria può essere molto rischioso: insieme possono tutto, da sole si perdono. Devono trovare un compromesso, almeno loro, mentre fanno dei comizi e ognuno presenta il piano che considera migliore (e tutti sono più fattibili di quelli di cui si è parlato nella realtà). “I want to leave this book” è un piccolo capolavoro di Richard David Lawman: ogni animale vuole appartenere alla propria storia, e uscire dal libro. Theresa May è un criceto, Boris Johnson è una mucca delle Highlands e David Cameron è un maiale (!) di nome Percy Hogtrotter. Parlano, votano, parlano, votano, ma non riescono mai a mettersi d’accordo: tutti vorrebbero andare in un altro libro per rappresentare un’altra storia, ma non ci riescono. L’unica differenza con la realtà è che i toni sono cortesi e pacati, e alla fine ti affezioni persino ai criceti.

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