Il parlamento portoghese a Lisbona (foto LaPresse)

Vincolo português

Giovanni Damele

Come funziona a Lisbona il sistema per evitare cambi di casacca in Parlamento. Appunti per Di Maio

Ogni volta che si ripropone il tema del vincolo di mandato salta fuori l’esempio del Portogallo. Pare che, visto dall’Italia, il paese lusitano costituisca un caso eccezionale – ma esemplare – di democrazia liberale con il vincolo di mandato parlamentare. Forse è meglio fare qualche rapido chiarimento, adesso che Luigi Di Maio è ministro degli Esteri e magari può capitargli di dovere discutere con l’omologo portoghese.

 

Il riferimento – già di per sé incerto – è all’articolo 160 della Costituzione portoghese. Ma in realtà i problemi nascono a monte: dalla confusione tra “vincolo di mandato” e “clausola anti defezione”. Mentre il primo vincola i rappresentanti a istruzioni impartite dai rappresentati (e sanziona le violazioni), la seconda impedisce il fenomeno dei cosiddetti “cambi di casacca”, cioè il passaggio di un parlamentare da un gruppo all’altro. Ora, la Costituzione portoghese non istituisce alcun “vincolo di mandato” propriamente detto, ma include appunto una clausola anti defezione. 

 

Per capire perché, bisogna considerare la storia e le caratteristiche del sistema costituzionale portoghese. Il processo costituente si sviluppò attraverso due “patti” successivi stipulati tra il Movimento delle forze armate (Mfa) – autore del golpe del 25 aprile del 1974 che sancì la fine del regime salazarista – e i principali partiti politici, immediatamente riorganizzatisi dopo la fine della dittatura. Anche per questo motivo, il sistema costituzionale portoghese è caratterizzato da un deciso protagonismo dei partiti. A differenza di quel che avviene in Italia, il sistema elettorale, proporzionale e con un’unica circoscrizione nazionale, su liste bloccate presentate dai partiti, è previsto nella carta costituzionale (articoli 113 e 151). Se si aggiunge a ciò una piuttosto rigida disciplina interna dei gruppi parlamentari, si comprende come tale sistema si presenti come marcatamente partitocratico. In questo contesto si inserisce, appunto, la lettera c) del numero 1 dell’articolo 160, secondo la quale perdono il mandato parlamentare quei deputati che “si iscrivono a un partito diverso rispetto a quello con il quale si sono presentati alle elezioni”. Benché l’articolo non lo dica, è interpretazione corrente, da parte della dottrina portoghese, che esso impedisca non solo l’iscrizione ad altro partito, ma anche l’iscrizione del parlamentare a un altro gruppo.

 

Che cosa avviene, dunque, sul lato pratico? Come si può intuire da quel che abbiamo detto, i casi di deputati portoghesi che abbandonino il proprio partito o il proprio gruppo sono piuttosto eccezionali. Quando ciò avviene, tuttavia, rimangono in Parlamento con mandato pieno, ma come indipendenti. Non sono sottoposti ad alcuna disciplina di gruppo e hanno completa libertà di votare in disaccordo con il partito che li aveva presentati nelle proprie liste. L’unica sanzione che possono subire, in questo caso, è politica, essendo difficile prevedere che alle elezioni successive siano inclusi nella stessa lista elettorale. Nulla impedisce, ovviamente, che si presentino con un altro partito.

 

E il vincolo di mandato? Come ogni altra Costituzione liberaldemocratica contemporanea, quella portoghese lo vieta. Il divieto deriva dal combinato disposto del secondo comma dell’articolo 152, nel quale si stabilisce che i deputati rappresentano la nazione (letteralmente “il paese intero”), e del primo comma dell’articolo 155, nel quale si sancisce che i deputati “esercitano liberamente il proprio mandato”.

 

Sorge allora il sospetto, dinanzi al reiterarsi della confusione, che essa sia voluta per vendere una cosa per l’altra. Perché il modello costituzionale portoghese non va nella direzione di un maggior controllo dei rappresentanti da parte dei rappresentati, come l’espressione “vincolo di mandato” può fare intendere, ma, al contrario, in quella opposta di uno stretto controllo dei partiti sui parlamentari. Il che può anche essere discutibile quando il controllo è affidato a partiti strutturati e organizzati. Figuriamoci quando è affidato all’arbitrio della Casaleggio Associati. 


Giovanni Damele, Universidade Nova de Lisboa