La Casa Bianca ha provato a nascondere la telefonata tra Trump e Zelensky

Daniele Raineri

I funzionari e il ministro della Giustizia hanno cercato di insabbiare la conversazione ricattatoria a Kiev

Roma. Giovedì i democratici americani hanno diffuso il rapporto dell’informatore che ad agosto ha accusato il presidente americano, Donald Trump, di abuso di potere e del tentativo di ottenere dall’Ucraina accuse infamanti contro il suo rivale alle elezioni Joe Biden. Il rapporto contiene molte informazioni interessanti, ma ha anche un significato più generale. Da tempo siamo così assuefatti al modo di agire del presidente americano che ormai quasi in automatico gli concediamo quella che potremmo chiamare “l’attenuante trumpiana”: Trump è fatto così, che ci vuoi fare. Ci sembra quasi naturale che lui in una telefonata al presidente ucraino abbia fatto pressione per infangare con false accuse Joe Biden, in cambio di una partita di missili anticarro di cui l’Ucraina ha bisogno per la difesa contro i russi. Del resto Trump in almeno un paio di occasioni aveva proclamato davanti ai giornalisti che trova lecito collaborare con governi stranieri per ottenere informazioni compromettenti sui suoi avversari. Invece non è naturale, come si legge nel rapporto, perché Trump usa come merce di scambio la politica estera americana e il suo staff poi cerca di coprire le sue tracce.

 

Dal rapporto si comprende molto bene che tutti alla Casa Bianca avevano realizzato che la conversazione con il presidente ucraino Zelensky era esplosiva e poteva condurre a un problema grave. Lo avevano capito alcuni funzionari dell’intelligence che per lavoro seguivano le comunicazioni del presidente, si erano allarmati e avevano discusso la materia con un altro funzionario, quello che poi è diventato l’informatore e che per ora è ancora anonimo. E lo avevano capito gli uomini dello staff di Trump, che infatti avevano cercato di far sparire la trascrizione della telefonata. Di solito queste conversazioni del presidente con i leader stranieri sono trascritte parola per parola e poi sono archiviate in un sistema informatico dove possono essere consultate dal resto del governo, ma secondo il rapporto dell’informatore alcuni alti funzionari della Casa Bianca sono intervenuti per farla cancellare da quel sistema e per farla caricare – perché comunque deve essere conservata, del resto gli ucraini avevano annunciato in modo ufficiale che era avvenuta – su un sistema separato che viene usato per archiviare materiale segreto. Ma nella telefonata non c’è un contenuto segreto che può danneggiare la sicurezza nazionale. Il contenuto danneggia Trump.

 

Il rapporto dice altre due cose. La prima è che la telefonata fa parte di un’operazione per mettere sotto pressione gli ucraini che durava da alcuni mesi e che quella settimana era culminata nella sospensione degli aiuti militari. C’erano stati diversi incontri – soprattutto con Rudolph Giuliani, l’uomo fidato che guidava questa operazione – e gli ucraini a quel punto erano già consapevoli che durante la telefonata presidenziale avrebbero dovuto rispondere di sì alle sue richieste. La seconda cosa il rapporto la dice in modo indiretto. E’ stato consegnato al dipartimento di Giustizia guidato da William Barr a metà agosto, ma è stato respinto come se fosse una sciocchezza. Barr si comporta come se fosse una barriera di sicurezza che blocca i problemi prima che tocchino Trump, ma in questo caso il suo tentativo di insabbiare il rapporto non ha funzionato e nel giro di un mese la denuncia etichettata come “non importante” si è trasformata in un impeachment.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)