Altro che Luca Marinelli. Il più politico a Venezia è stato il cinese Yonfan

I ragazzi di Hong Kong hanno un nuovo nemico: il paternalismo

Giulia Pompili

Roma. Nato a Hong Kong, cresciuto a Taiwan, il registra e fotografo cinese Yonfan ha studiato cinema negli Stati Uniti. Sulla carta non ha certo il profilo del conservatore cinese. Eppure in questo mondo confuso gli stereotipi valgono ben poco. Alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia il lungometraggio “N°7 Cherry Lane” ha vinto il premio come migliore sceneggiatura: “E’ la mia dichiarazione d’amore nei confronti di Hong Kong”, ha detto durante la conferenza stampa al Lido il regista Yonfan del suo film d’animazione. Poi ha aggiunto che quando è arrivato nella colonia inglese nel 1964, dopo anni di “esilio” a Taiwan, ha percepito l’aria di libertà, insomma gli è venuta voglia di fare l’artista, e così si sente molto riconoscente nei confronti del luogo “che mi ha dato la libertà di creare”. Se per parecchi degli addetti ai lavori il premio “miglior sceneggiatura” al film è esagerato, c’è un dettaglio che non vi dovrebbe stupire. “N°7 Cherry Lane” è infatti ambientato durante le rivolte di Hong Kong del 1967 – facile fare il paragone, no? E invece no, dice il regista. “E’ una pura coincidenza” che il film sia uscito ora, cioè dopo le più grandi manifestazioni di protesta che l’ex colonia inglese abbia vissuto nella sua storia (ma la coincidenza non dev’essere sfuggita ai giurati). Per Yonfan quelle di allora erano proteste, mica quelle di oggi: “In questi giorni Hong Kong è stata messa sottosopra dalla violenza. Abbiamo perso il senso delle leggi, della libertà, e la gente è impazzita. Questa forza ha scoperchiato un vaso di pandora, e gli spiriti maligni sono usciti”. 

 

E poi si lamenta: “Vorrei che non fosse uscito adesso questo film: ora tutti mi domandano la stessa cosa”. Caro Yonfan, c’è una ragione: “Se la città non è nuova a manifestazioni di massa – l’occupazione del centro di Hong Kong nel 2014 per chiedere una maggiore democrazia, nota come movimento degli Ombrelli, è durata 79 giorni – l’unica volta in cui nella città ci sono stati gravi disordini è stata più di cinquant’anni fa”, ha scritto Ilaria Maria Sala su Quartz, “Nel ’67 le proteste vennero alimentate dal malcontento popolare, scatenate dal licenziamento degli operai da una fabbrica di fiori di plastica. Ma furono anche un riflesso della Rivoluzione culturale di Mao, iniziata un anno prima: il Partito voleva contrastare le critiche contro le politiche economiche fallite e spacciarle come un tentativo di ‘purificare’ il comunismo cinese dalle influenze borghesi”. Fu quindi una grande protesta contro l’amministrazione coloniale britannica, che si concluse con “una serie di bombardamenti che portarono a 51 morti e centinaia di feriti”. “La nostalgia sentimentale non arriva mai a certi livelli di sontuosità e di kitch”, scrive Screendaily nella recensione di “No. 7 Cherry Lane”, e anche se il film parla in realtà di accoppiamenti con serpenti, di corteggiamenti e di amori non corrisposti, tutta la sceneggiatura si muove in quella che secondo Yonfan è la più romantica delle proteste, quella del 1967. Mica i ragazzini del 2019, che sono costretti alle barricate e alle catene umane per chiedere più democrazia, ma anche un’indagine indipendente sull’operato della polizia di Hong Kong.

 

Non è difficile, nelle ultime settimane, trovare questo genere di paternalismo nelle parole di chi ha beneficiato delle “libertà” in qualche modo finora garantite a Hong Kong ma che oggi ha tutto l’interesse di mantenere lo status quo con la Cina continentale, e quindi considera i giovani tutti “rioters”, “facinorosi” e “radicali”, che si spingono oltre, mettendo “a ferro e fuoco la città”. E questo nonostante la maggior parte di loro esprima il proprio dissenso pacificamente – ieri migliaia di studenti hanno boicottato le lezioni in classe e hanno partecipato a una catena umana, con addosso le maschere antigas, in segno di solidarietà con le proteste antigovernative che ormai vanno avanti da mesi. Se la società civile è quella che dovrebbe più parlare dell’esigenza di democrazia manifestata dalle giovani generazioni, e prendere una posizione decisa su Pechino, le posizioni come quelle di Yonfan sono frequenti. Come per il settore della moda, anche nell’arte è difficile condannare Pechino. Il mercato cinese è il principale obiettivo della distribuzione di “No. 7 Cherry Lane”, e se il regista avesse avuto parole di critica nei confronti di chi cerca di limitare le libertà personali e di espressione a Hong Kong, probabilmente l’accesso a quel mercato gli sarebbe precluso. A difendere i ragazzi restano gli anziani per strada, gente comune, che dicono come ieri a Repubblica: “Preferirei che uccidessero un anziano piuttosto che colpire un giovane”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.