Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Saluti dalla Costa Azzurra. Firmato Macron

Micol Flammini

Il presidente francese lavora anche da Brégançon mentre è in vacanza. Ma non era spacciato?

Roma. Non è per tutti il tempo delle vacanze. Non lo è per Emmanuel Macron, il presidente francese che Luigi Di Maio dava per spacciato, per morto, per finito, mentre lui andava a trovare i gilet gialli di Christophe Chalençon. “Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi”, scriveva il vicepremier italiano su Facebook postando una foto di lui assieme a Di Battista e al gruppo di ribelli francesi. E insisteva: “Ripeto. Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi”. Era febbraio. Sono trascorsi sei mesi e il vento sta cambiando davvero, il governo italiano di cui il Movimento cinque stelle fa parte è in crisi. Luigi Di Maio rilascia dichiarazioni confuse e il suo partito è al 17 per cento nei sondaggi (ha perso quindici punti dalle elezioni del 4 marzo), i gilet gialli sono scomparsi ed Emmanuel Macron sta benissimo. E’ a Brégançon, residenza estiva dei presidenti francesi, e come racconta Rym Momtaz, giornalista di Politico, sta rendendo impossibile l’estate dei suoi collaboratori: messaggi a tarda notte, promemoria, telefonate, le decisioni da prendere sono molte, l’Unione europea è ancora tutta da disegnare e la Francia non può distrarsi. Tra i temi urgenti di cui Emmanuel Macron deve occuparsi ci sono: il G7, che si terrà a Biarritz tra il 24 e il 26 agosto; l’Iran, Parigi sta cercando di condurre una mediazione tra Washington e Teheran; e l’Ucraina, questa settimana sono stati uccisi quattro soldati ucraini nel Donbass e il presidente Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin durante una telefonata hanno proposto la riapertura dei colloqui per risolvere la guerra nelle regioni filorusse di Lugansk e Donetsk. E per farlo hanno chiesto l’aiuto della Francia e anche della Germania. A proposito di Putin, il 19 agosto Macron riceverà il capo del Cremlino a Brégançon e di riposare, per chi vuole avere un ruolo sulla scena internazionale, non se ne parla.

 

 

La Francia deve ancora fare il nome del commissario da mandare in Europa, la decisione è prevista per la prossima settimana e il presidente francese che ha trascorso i suoi giorni e le sue notti impegnato nel tentativo di riformare il meccanismo europeo – ce lo ricordiamo ancora stremato, pensieroso e smanicato a fissare il soffitto durante le riunioni dei capi di stato e di governo per decidere il nome del futuro presidente della Commissione europea – non può sbagliare ora il nome del commissario.

 

Da quella notte trascorsa attorno a un tavolo a discutere con Angela Merkel, Donald Tusk, Pedro Sánchez e gli altri, mentre il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte era con il gruppo di Visegrád a farsi convincere che quel che conviene a Visegrád (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia) conviene anche all’Italia, uscirono i nomi di Ursula Von der Leyen per la Commissione, di Charles Michel per il Consiglio e di Christine Lagarde alla Banca centrale europea. Le nuove facce del progetto macroniano (liberale e moderato) per l’Europa. Un mese dopo, chiamati a designare un candidato per la direzione del Fondo monetario internazionale, i paesi europei hanno scelto Kristalina Georgieva, bulgara, ex vicepresidente della Commissione europea e direttore generale della Banca mondiale. Un’altra vittoria di Macron che oltre ad apprezzare la Georgieva – il suo nome era stato proposto anche per la Commissione – sapeva che bisogna dare all’Europa orientale la sua quota tra i ruoli di rilievo. Dopo aver creato l’immagine dell’Ue del futuro, dopo essere riuscita a disinnescare il meccanismo dello Spitzenkandidat, la Francia non può permettersi di sbagliare il nome del proprio commissario e tra i nomi che circolano, secondo Politico, ci sono quelli di Sylvie Goulard, per un mese ministro della Difesa con Macron; Florence Parly, attuale ministro della Difesa e infine Michel Barnier, che se davvero la Brexit, con deal o senza deal, si avvererà entro il 31 ottobre, dovrebbe essere finalmente libero dai suoi attuali impegni di capo negoziatore per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Servono nomi forti per portafogli forti, magari dal sapore economico, e Macron dalla fortezza sta studiando bene il candidato più adatto da proporre a Ursula Von der Leyen.

 

 

  

Il capo dell’Eliseo nel giro di un anno – un anno difficile e fitto di impegni in cui il mondo ha subìto diversi scossoni – ha dimostrato di poter contare ancora sul suo elettorato dopo le elezioni europee, ha creato una nuova famiglia dentro al Parlamento Ue con i liberali, Renew Europe, e si è messo al centro dell’Unione per tentare di riformarla. Emmanuel Macron non è spacciato, né finito, come suggeriva Luigi Di Maio, lui sì senza una famiglia europea, lui sì senza il supporto dei suoi elettori, lui sì lontano dai centri dall’Europa che conta.

 

Per capire come va la vita a Brégançon basta affacciarsi sul profilo Instagram di Guillaume Gomez, chef dell’Eliseo, che dalla fortezza fotografa uliveti e distese di mare senza fine, verdure fresche e dolci appena sfornati. No, Macron non è finito, ma è molto indaffarato.

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