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"L'America sarà sempre al fianco delle minoranze perseguitate per la loro fede"

Pasquale Annicchino

Il Dipartimento di stato ha presentato il consueto Rapporto sulla libertà religiosa. Puntuali le critiche sugli interessi di Washington a denunciare la persecuzione nel mondo, ma è bene che qualcuno lo faccia ancora

“Gli Stati Uniti non resteranno seduti a guardare davanti all’oppressione. Saremo a fianco di coloro che sono perseguitati a causa della loro fede e faremo i nomi dei persecutori”. E così ha fatto il Segretario di Stato Mike Pompeo venerdì citando, nel corso della presentazione del rapporto annuale sulla libertà religiosa del Dipartimento di Stato, le persecuzioni cinesi contro i cristiani e la minoranza musulmana in Xinjang, le ripetute violazioni dei diritti dei testimoni di Geova in Russia, le discriminazioni contro i Baha’i in Iran. Una lista di Paesi definiti come “violatori seriali”, come risulta dal voluminoso rapporto che il Dipartimento di Stato pubblica ogni anno. Una situazione che in molti casi risulta peggiorata, in alcuni casi  si arriva alla vera e propria tragedia umanitaria. Basta leggere la sezione speciale dedicata a quanto accade alla minoranza musulmana in Xinjang, dove le persone vengono rinchiuse in campi di rieducazione al comunismo. Si parla ormai di oltre un milione di persone in questa condizione. Pompeo ha poi ricordato la difficile situazione pachistana e il caso di Asia Bibi, che ha rischiato la vita per una condanna per blasfemia. Il rapporto non fa sconti nemmeno a un importante alleato degli Stati Uniti, quell’Arabia Saudita a cui il Presidente Trump ha garantito la più ampia collaborazione possibile su tutti i dossier che riguardano il Medio Oriente. Passaggi critici anche nel capitolo dedicato all’Italia, soprattutto per ciò che concerne la crescita dell’antisemitismo e le difficoltà incontrate dai fedeli musulmani rispetto al tema della costruzione dei luoghi di culto.

 

Ogni anno il rapporto del Dipartimento di Stato genera sentimenti contrapposti, soprattutto fra gli esperti. Un ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo arrivò a scrivere in una sentenza che il rapporto non fosse da ritenersi affidabile, in quanto espressione degli interessi politici degli Stati Uniti. Allo stesso modo ogni anno possiamo leggere commenti e note diplomatiche di alcuni paesi che accusano gli Stati Uniti di imperialismo, perché scopo del rapporto sarebbe quello di imporre la concezione occidentale dei diritti dell’uomo su paesi che hanno tradizioni diverse. La verità è che nella maggioranza dei casi si tratti di comode argomentazioni di facciata per evitare di rispondere degli abusi perpetrati a danno delle minoranze che si trovano all’interno di un determinato paese. Un grottesco uso del sovranismo culturale e giuridico per lavarsi le mani e non rispondere delle proprie azioni. Certo, non che gli Stati Uniti debbano porsi necessariamente a modello di riferimento per ciò che riguarda il trattamento delle minoranze. Ma i musulmani cinesi nei campi di rieducazione li abbiamo visti, i testimoni di Geova perseguitati in Russia li abbiamo incontrati, così come i Baha’i. Non sono un complotto del Dipartimento di Stato, è bene che ci sia qualcuno che continui a ricordarlo.

 

Oggi questa azione trova un’inaspettata alleanza nella guerra tecnologica che gli Stati Uniti combattono ormai senza quartiere contro la Cina. Come ha ricordato durante la presentazione del rapporto l’ambasciatore per la libertà religiosa Sam Brownback, gli Stati Uniti prenderanno in considerazione la possibilità di vietare l’esportazione di tutte quelle tecnologie che vengono utilizzate per sorvegliare e punire le minoranze religiose. Qualcuno potrebbe vederci del cinismo, ma come diceva Mencken: “I cinici hanno ragione nove volte su dieci”.