Donald Trump (foto LaPresse)

Lo snegoziatore

Daniele Raineri

Trump non vuole guerre, vuole grandi negoziati show in cui lui fa la storia. Ma prende rischi enormi

Circola questa versione semplicistica a proposito del presidente americano Donald Trump e dell’Iran: lui vuole fare la guerra perché tutti gli americani sono stupidi e guerrafondai e inoltre è circondato dentro la Casa Bianca da falchi che puntavano a fare la guerra all’Iran già da molto prima di entrare a far parte dell’Amministrazione – come il consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton e il segretario di Stato Mike Pompeo – e all’estero ha alleati come Israele e l’Arabia Saudita che apprezzerebbero molto una guerra contro l’Iran. Si tratta di una versione caricaturale e come spesso succede le cose sono più complicate.

 

Trump aborre gli impegni militari all’estero per istinto naturale. Quando in campagna elettorale nel 2016 gli chiesero cosa avrebbe fatto con la forza al Quds, che è una temibile unità speciale iraniana, lui capì “kurds”, i curdi. Due giorni fa ha detto in un’intervista al settimanale Time che ordinerebbe un intervento militare contro l’Iran per impedire a quel regime di possedere un’arma atomica – niente di nuovo, è la posizione standard di tutte le Amministrazioni americane – ma ha definito “very minor” gli attacchi alle petroliere nel mare dell’Oman, che l’America attribuisce ai pasdaran iraniani.

 

Chi sosteneva che Trump volesse scatenare una guerra in Siria nell’aprile 2017 dopo un attacco con armi chimiche (ci fu un raid contro una base di “Animal Assad”, come lui chiama il rais siriano Bashar el Assad, ma niente guerra), chi sosteneva che Trump volesse scatenare una guerra in Siria nell’aprile 2018 dopo un altro attacco con armi chimiche (ci fu un secondo raid, ma niente guerra) e chi oggi dice che Trump voglia scatenare una guerra in Iran dopo gli attacchi alle petroliere dovrebbe tenere conto di questa inclinazione trumpiana: è necessario ridurre al minimo gli impegni americani all’estero. Sette mesi fa Trump ha ordinato di colpo il ritiro dei duemila soldati americani in Siria (che danno molto fastidio all’Iran), ha ordinato negoziati molto blandi con i talebani per riportare a casa i quindicimila soldati americani in Afghanistan, è stato molto vicino a ritirare i soldati dalla Corea del sud prima che i generali lo facessero desistere. E’ possibile che non sia per nulla contento di aver appena mandato duemilacinquecento militari in medio oriente (mille a maggio, altri millecinquecento adesso) con compiti di sorveglianza e logistica per rispondere alla situazione molto tesa con l’Iran. Le elezioni si avvicinano, voleva essere il presidente che aveva tagliato le missioni all’estero per usare i soldi in patria (America first!).

  

Trump tuttavia vorrebbe una vittoria negoziale storica con un grande nemico dell’America, da raggiungere in un incontro personale davanti ai media di tutto il mondo. Ci ha provato a Hanoi con Kim Jong Un, il dittatore della Corea del nord, ma è stata una delusione, non c’è stato alcun risultato e ora quella strada è bloccata. Da tempo sostiene che il deal atomico chiuso dall’Amministrazione Obama nel luglio 2015 è “il peggiore mai fatto” e dice che se incontrasse di persona i leader iraniani potrebbe negoziare un deal migliore, del resto “the art of the deal” sarebbe la sua specialità.

  

Anche con gli iraniani ha seguìto il suo schema solito. Prima durezza estrema, poi disponibilità all’incontro personale con il nemico, lo stesso che ha tentato con Kim, ma gli è andata male. La durezza estrema c’è stata, l’America è uscita dall’accordo atomico, ha imposto sanzioni molto dannose, ha inserito i Guardiani della rivoluzione islamica nella lista dei gruppi terroristi, ma i leader iraniani non vogliono incontrare Trump. Non ci saranno una visita storica e un deal migliore di quello firmato da Obama. Per quanto sarà loro possibile, gli iraniani tenteranno di infliggere danni senza farsi scoprire (sarà coinvolta l’unità al Quds) e sarà il loro modo di fare rappresaglia.

     

Ieri sei razzi sono caduti su una base in Iraq che ospita anche soldati americani, è una cosa che non succedeva da anni. L’Amministrazione si è incagliata nella questione iraniana. Il dipartimento di Stato americano ha chiesto all’Iran di continuare a rispettare i vincoli del patto atomico del 2015, da cui però gli Stati Uniti sono usciti nel maggio 2018 e che Trump definisce “il peggiore mai fatto”. Vedremo come uscirà dalla situazione, se con freddezza oppure con una escalation.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)