Un tifoso del Tottenham (foto LaPresse)

Il calcio di qui, la Brexit di là. Una sera davanti alla tv e un'idea: gli inglesi sono vivi

Gregorio Sorgi

La rimonta del Tottenham e il reality show sui negoziati

Roma. L’ironia ha voluto accostare la folle rimonta del Tottenham – che mercoledì sera ha eliminato l’Ajax conquistando la finale di Champions League – all’avvilente sconfitta della Gran Bretagna nella partita, assai più lunga ma ancora inconclusa, contro la Commissione europea. Il documentario “Brexit Behind Closed Doors” è andato in onda sulla Bbc in contemporanea con la semifinale di ritorno di Champions League. Da un lato, la calma piatta dei torpidi salotti di Bruxelles impegnati a districarsi tra i cavilli della Brexit, e dall’altra il ruggito poderoso di un popolo, quello del Tottenham, che non crede ai propri occhi.

 

 

Il documentario nasce da un’idea del regista Lode Desmet: raccontare la Brexit come se fosse un reality show, senza omissioni. La telecamera nascosta segue Guy Verhofstadt, il rappresentante del Parlamento europeo nei negoziati sulla Brexit, in ogni suo spostamento: dai vertici riservati di Bruxelles alla villeggiatura invernale nel suo casale di campagna in Umbria dove produce vino rosso (tre mila bottiglie l’anno!). Emerge un ritratto inedito e colorito dello staff di Verhofstadt: la consigliera irlandese Edel Rettman Crosse che non sopporta i negoziatori di Londra (“Quanto mi piace quando te la prendi con i conservatori”, confessa a Verhofstadt), il segretario devoto che dorme in un camper a Strasburgo ed esce a comprare un cornetto per il suo capo ogni mattina. Nei vertici riservati con gli altri membri del Brexit Steering Group c’è grande armonia, a tratti pare di essere in una riunione tra vecchi amici: scherzano, brindano, dispensano consigli sulle pillole da prendere contro il colesterolo (“così possiamo continuare a bere il vino rosso”, ridono). Un paradiso in confronto alla guerra civile che sta iniziando a dilaniare i Tory a Londra – che Verhofstadt paragona “alla politica fiorentina del XV secolo”.

 

  

Mentre a Bruxelles si prepara la strategia negoziale sulla Brexit, ad Amsterdam il Tottenham soffre contro i ragazzini dell’Ajax, va sotto di due gol, e all’intervallo sembra tutto perduto. I giocatori entrano negli spogliatoi a testa bassa, ma escono rigenerati. E la rimonta avviene grazie all’ingresso in campo di Fernando Llorente (spagnolo), che apre nuove praterie per Lucas Moura (brasiliano), autore di una tripletta. I tifosi del Tottenham urlano con le mani tra i capelli, non ci credono, così come avevano fatto la sera prima quelli del Liverpool, dopo aver rimontato tre gol al Barcellona. E’ un sussulto di orgoglio, momentaneo, per un paese che viene deriso in tutte le cancellerie europee, una piacevole distrazione di massa. Non è un trionfo del “Britain first” – gli inglesi in campo dal primo minuto nel Tottenham erano solo quattro, anche l’allenatore Pochettino è straniero.

 

Il day after della finale del 1° giugno sarà un brusco richiamo alla realtà. Si tornerà a parlare dei dispetti tra Tory e del confine irlandese, che irrompe nel documentario proprio mentre il Tottenham celebra la rimonta. Verhofstadt si reca a Belfast per interagire con le comunità locali, incontra i negoziatori inglesi (“hanno la testa tra le nuvole”), che però non fanno nulla per risolvere la questione. I negoziatori europei osservano i riti della politica inglese con incredulità e divertimento: ridono ai discorsi in Parlamento di Boris Johnson, diffidano di Theresa May, che dopo le elezioni del 2017 non può fare a meno di Arlene Foster, la leader testarda degli unionisti nordirlandesi. Così gli europei vincono la partita col minimo sforzo – “dobbiamo aspettarli, prendere tempo, e loro verranno da noi”, dice Elmar Brok, l’anziano eurodeputato tedesco della Cdu, che aveva capito tutto fin dall’inizio. I negoziatori si prendono gioco della controparte britannica, ridono dei loro tic, e questo ha dato molto fastidio ai brexiteers. Il Sun in un editoriale si è scagliato contro “i capelli color tenda” di “quell’essere ripugnante che Verhofstadt”, perfino “più arrogante di quell’ubriacone di Jean-Claude Juncker” e “di quel fenicottero di Michel Barnier”. La scena finale del primo episodio, il 7 dicembre 2017, è una profezia: salta l’intesa tra il Regno Unito e l’Ue perché la Foster pone il veto sul confine irlandese. Il grido liberatorio di Lucas Moura coincide con l’urlo di dolore Guillaume McLaughlin, il capo della segreteria di Verhofstadt che per primo riceve la notizia. Ma il peggio deve ancora venire.

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