Le forze di sicurezza di Maduro in azione a Caracas (foto LaPresse)

Che cosa è andato storto nel tentato golpe di Guaidó in Venezuela

Maurizio Stefanini

Prima l'annuncio a sorpresa, poi la gente che scende in strada e infine la repressione violenta di Maduro. Ora il fallimento dell'operazione sembra abbia preso in contropiede soprattutto gli Stati Uniti

Il Venezuela è in stallo. Sembra fallito l’appello a un’insurrezione militare generalizzata che il presidente ad interim Juan Guaidó aveva annunciato la mattina del 30 aprile assieme all’appena liberato Leopoldo López e a un gruppo di militari alla base aerea La Carlota. Il fatto che poi Guaidó, López e i militari ribelli abbiano lasciato la base sembra confermare anche la tesi del governo secondo cui la gran parte del personale della base non era a conoscenza di quel che stava accadendo. Insomma, era solo un video. 25 militari ribelli hanno poi chiesto asilo all’ambasciata del Brasile, e anche López si è recato prima alla sede diplomatica del Cile e poi a quella della Spagna, anche se ha fatto sapere di nono avere chiesto asilo politico. Insomma, segnali apparenti di fallimento.

 

 

Una quantità di venezuelani è però scesa in piazza comunque, affrontando militari e poliziotti. E non sono mancate le vittime. La ong Observatorio de Conflictos ha denunciato l’uccisione della 27enne Jurubith Rausseo García e del 24enne Samuel Enrique Méndez, che portano a 55 i morti per la repressione in Venezuela dall’inizio del 2019. L’opposizione denuncia anche 78 feriti e, secondo il Sindicato Nacional de Trabajadores de la Prensa, tra loro ci sarebbero anche una decina di giornalisti. Il Foro Penal Venezolano ha a sua volta denunciato almeno 168 arresti, tra cui 13 adolescenti. Secondo il governo, anche il colonnello Yerzon Jiménez Baez sarebbe rimasto ferito al collo, per una pallottola sparata da uno dei militari ribelli.

 

 

Intanto Guaidó continua a correre da una parte all’altra: apparentemente imprendibile malgrado le minacce del governo che aveva fatto sapere di avere già pronta una cella per lui a Forte Tiuna. Il primo maggio si è rivolto in piazza a una folla di sostenitori annunciando che la Operación Libertad continuerà con uno sciopero generale dei dipendenti pubblici per bloccare progressivamente il paese: la Operación Libertad Sindacal. Dall’altra parte, un segnale strano era stata l’assenza di Maduro per molte ore, a partire dall'inizio dell'annuncio dell’insurrezione. Solo alla sera ha parlato, ostentando “nervi di acciaio” e risposte dure, ma con una trasmissione in differita.

  

La confusione è alimentata da alcune dichiarazioni clamorose che sono arrivate dall’Amministrazione americana di Donald Trump. Prima il Consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, ha rivelato che il ministro della Difesa del Venezuela, Vladimir Padrino López, il presidente del Tribunale Supremo di Giustizia Maikel Moreno e il direttore della Dirección General de Contrainteligencia Militar Iván Hernández Dala hanno negoziato per rimuovere Maduro. Poi il segretario di stato, Mike Pompeo, ha detto che Maduro era salito su un aereo per Cuba ma che i russi gli avevano imposto di restare in Venezuela. Il governo di Maduro e i russi hanno ovviamente buttato la cosa in burletta, ma il negoziato è stato confermato dal giornale spagnolo El Confidencial, che ha scritto di avere buone fonti all’interno dello stesso regime di Caracas. Secondo El Confidencial, l’azione sarebbe stata però prevista per il 2 maggio, dopo le manifestazioni del primo maggio. E Guaidó avrebbe fatto fallire tutto con anticipando l’azione al 30 aprile.

 

El Confidencial l'ha definita un'operazione da "dilettanti", che ha finito per suscitare anche l’ira dell’Amministrazione Trump. Fonti dell’opposizione venezuelana rispondono che Guaidó sarebbe stato costretto ad agire per anticipare un imminente arresto (cosa che era stata ipotizzata anche dal Foglio). Non mancano le ipotesi (per esempio quella del Corriere della Sera) secondo cui si sia trattato solo di una provocazione in cui sarebbero caduti sia gli Stati Uniti sia Guaidó. O ancora, che siano stati invece gli Stati Uniti a cercare di seminare zizzania nella nomenclatura del regime.

  

Suscita interrogativi in particolare il ruolo del Sebin, il temuto Servizio bolivariano di intelligenza, famigerato per detenzioni arbitrarie e torture, ma con agenti che ogni tanto prendono posizioni a sorpresa: dal rilascio di Guaidó quando era in carcere, a quello di López. In effetti, il generale Manuel Ricardo Cristopher Figuera è stato rimosso dal comando e sostituito da Gustavo González López, che peraltro aveva sostituito a ottobre, dopo lo scandalo della morte in detenzione di Fernando Albán. Figuera aveva in precedenza mandato a Maduro una lettera molto critica nei confronti del regime. Secondo Pompeo, gli Stati Uniti sono preparati per una “opzione militare”. Ma dal Pentagono hanno fatto sapere che per ora non hanno ricevuto ordini in proposito.

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