Il leader del Labour Jeremy Corbyn (Foto LaPresse)

Corbyn l'arrivista tenace. L'ultima biografia sul leader del Labour

Cristina Marconi

Egoista, ignorante, distaccato e testardo. Il ritratto tagliente di Tom Bower ci aiuta a capire la strategia (disastrosa) dei laburisti sulla Brexit

Londra. Uno così, con quelle giacchette di velluto e quell’aria da vecchio professore, verrebbe da immaginarselo quantomeno colto, se non addirittura molto colto. E invece Jeremy Corbyn, classe 1949, non solo era somaro ai tempi della scuola (privata) ma non ha mai fatto niente per migliorare il suo bagaglio di conoscenze una volta lasciato il maniero settecentesco in cui è cresciuto. La prima moglie sostiene di non averlo mai visto con un libro in mano per quattro anni e quando un amico, fraintendendo tutto lo zelo politico nato dopo un periodo di volontariato e insegnamento in Giamaica, gli prestò “Storia delle rivoluzione russa” di Trotsky, il volume tornò indietro intonso.

 

Il leader laburista è un trotskista che non ha letto Trotsky, con una mente descritta da un collaboratore come “un ripostiglio” in cui le opinioni giacciono inalterate e vengono tirate fuori a seconda delle circostanze senza neppure lo sforzo di una spolverata, incapace di ricordare nomi e volti eppure inspiegabilmente resistente, durevole, tenace. E capace di svolte, come quella del secondo referendum sulla Brexit, solo dopo aver resistito alle pressioni dei deputati del suo partito e della storia, che gli aveva messo su un piatto d’argento un ruolo di eroico contrasto alla linea suicida di Theresa May sull’Europa, ruolo rifiutato fino all’ultimo, forse a causa di un euroscetticismo ben più radicale di quello della pragmatica premier senza visione.

 

Il ritratto che ne fa Tom Bower, già biografo di Tony Blair e del Principe Carlo, in “Eroe pericoloso: lo spietato piano di Corbyn verso il potere”, ha poche luci e molte ombre, tutte ben documentate per chi avesse ancora dei dubbi sulla caratura dell’uomo dopo le indecisioni sulla Brexit e al gestione molle della rivoltante questione dell’antisemitismo nel partito, ma l’immagine che resta è quella di un personaggio mediocre, poco intelligente, appassionato unicamente di beghe politiche, davvero felice, secondo la prima moglie Jane Chapman, solo quando si sedeva per terra insieme ad altri compagni per cantare canzoni pro-Ira. Il Times, che non potendo difendere la premier Tory Theresa May si aggrappa all’unico argomento possibile, ossia che l’alternativa laburista è peggio, e ha quindi dato ampio spazio alla biografia, mentre il Guardian, scisso com’è, ha pubblicato una recensione buona e, pochi giorni dopo, una stroncatura, tanto per non deludere nessuno. La seconda signora Corbyn, Claudia Bracchitta, parla ancora peggio dell’ex marito, raccontando che le era stato proibito di assumere un aiuto domestico, di mandare i figli in una scuola privata e che, quel che è peggio, mentre lei partoriva lui era in giro a distribuire volantini sull’Irlanda del nord.

 

Il problema è che queste cose sono note, mentre quello che il libro non spiega è come Corbyn sia riuscito a resistere tutti questi anni e ad arrivare dove è arrivato, anche se l’idea che dietro di lui ci sia ormai da anni Seamus Milne, ex giornalista del Guardian e suo spin doctor, e la prossimità di personaggi più determinati come John McDonnell, il suo cancelliere ombra, spiegano in parte il cambio di passo rispetto agli anni da deputato di Islington North.

 

Il suo metodo d’azione, però, è ben descritto ed è rimasto pressoché intatto: da quando era consigliere comunale ha sempre fatto in modo di espellere o allontanare uno per uno tutti i membri dell’ala destra del partito per farli sostituire da trotskisti e marxisti e lo stesso sta facendo ora con il Labour, grazie al sostegno dei cani da guardia di Momentum e a una cerchia di fedelissimi che crede ad ogni sua parola come fosse un articolo di fede e che grida al complotto appena qualcuno ne mette in dubbio il valore. Il dissenso all’interno del Labour è costantemente soffocato, col risultato che alcuni se ne sono dovuti andare da un partito che anche sotto la guida dell’incolore Ed Miliband appare ora come un distante faro di riformismo, roba da suscitare sussulti di nostalgia.

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