I deputati che hanno lasciato il Partito laburista: Ann Coffey, Angela Smith, Chris Leslie, Chuka Umunna, Mike Gapes, Luciana Berger e Gavin Shuker (Foto LaPresse)

I ribelli laburisti cercano una sponda tra i tories

Gregorio Sorgi

Che succede dopo la scissione del Labour? Arriva l'ottava defezione, e Corbyn teme l'effetto domino.  I tormenti di chi non si muove e il dilemma dei conservatori 

I prossimi giorni saranno decisivi per capire cosa ne sarà degli otto ribelli che hanno lasciato il Labour britannico di Jeremy Corbyn. Il loro progetto è quello di creare un grande partito di centro che raccolga i voti perduti dai laburisti e dai conservatori. Una versione britannica di En Marche, rivolta soprattutto all'elettorato europeista che chiede un secondo referendum sulla Brexit.

 

Molti laburisti delusi dalla gestione corbyniani stanno pensando di aderire al nuovo gruppo indipendente, e i vertici del partito lo hanno intuito. Lunedì scorso il vice di Corbyn, Tom Watson, aveva rivolto un appello al leader: “Deve cambiare direzione al partito, anche io a volte non mi sento rappresentato”. Ieri John McDonnell, il cancelliere ombra e braccio destro di Corbyn, ha proposto un “esercizio di ascolto di massa” per tenere unito il Labour. Le prime rilevazioni di Britain Elects attribuiscono l'8 per cento a un “partito centrista contro la Brexit”, con un leader e un programma ancora non specificato. Se i ribelli ruberanno i voti del Labour, allora Corbyn potrebbe avere qualche ripensamento sul secondo referendum. Altrimenti, se andranno a competere nel bacino elettorale dei liberaldemocatici, allora i laburisti potranno tirare un sospiro di sollievo.

 

Il rischio maggiore per Corbyn è quello di perdere altri deputati, innescando un effetto domino incontrollabile. Ieri in serata la deputata Joan Ryan ha annunciato di lasciare il Labour, la prima a farlo dopo la scissione dei sette ribelli lunedì scorso. Ryan ha spiegato la sua scelta in un'intervista al Times: "Una donna giovane, una deputata laburista, ha dovuto lasciare a causa dell'antisemitismo...Non potevo vederla andare via senza fare nulla". Molti esponenti laburisti guardano con interesse al nuovo partito, ma preferiscono restare nel Labour per ragioni tattiche. Se ogni deputato moderato se ne andasse, il partito resterebbe nelle mani dell'ala dura corbyniani. Continuerebbe a vincere nelle roccaforti laburiste, schierando però dei candidati più radicali. Poi, lasciare una comunità politica porta con sé anche un grande costo psicologico, come ha sottolineato la scissionista Luciana Berger nel suo intervento di lunedì scorso. I ribelli anti-corbyniani non cercano adesioni solo nelle file del Labour, ma anche tra i conservatori che non si sentono più a loro agio nel partito. Il loro obiettivo è quello di raccogliere voti a destra e a sinistra, e il sostegno di alcuni conservatori di peso è fondamentale per riuscirci.

 

 Chuka Umunna, uno dei fuoriusciti del Labour, durante l'evento di presentazione del nuovo movimento (Foto LaPresse)


 

Alcuni tory moderati vivono una crisi di identità, e i giornali britannici già scommettono su chi saranno i primi di loro a entrare nel nuovo movimento. Il politologo Tim Bale ha detto al Foglio che “due o tre deputati potrebbero cambiare casacca, ma è difficile che siano di più. I conservatori non sono disgustati dalla May come i loro colleghi laburisti da Corbyn.” I maggiori indiziati a lasciare il partito sono i cinque deputati europeisti che rischiano di essere sfiduciati dal proprio collegio elettorale. La deputata Sarah Wollaston, una di loro, ha scritto su Twitter che “gli euroscettici si sono impossessati del Partito conservatore. Tra poco non ci sarà più nulla per gli elettori del centro moderato”.

 

Il riferimento è alla campagna stampa condotta la scorsa estate da Arron Banks, il finanziatore dello Ukip (estrema destra) che aveva invitato gli elettori filo-Brexit a iscriversi al Partito conservatore per condizionarlo dall'interno. Questa strategia si è verificata negli ultimi giorni: 201 elettori nel collegio della Wollaston e 416 nel seggio di Dominic Grieve, un altro conservatore filo-Ue, hanno firmato una mozione di sfiducia. L'accusa per entrambi è di volere sabotare la Brexit in Parlamento. Lo stesso fenomeno era avvenuto anche tra i laburisti. Molti militanti corbyniani di “Momentum” si erano iscritti al Labour per convocare delle mozioni di sfiducia contro i deputati centristi, i vituperati “blariani”. I militanti laburisti di Liverpool Wavertree hanno tentato di sfiduciare la deputata Berger, dopo una orrenda campagna antisemita. Lo stesso fenomeno tra i conservatori è stato ribattezzato “Purple Momentum” (“Momentum Viola”), per il colore dello Ukip.

 

Gli europeisti e gli euroscettici conservatori sono ai ferri corti, e nessuno cerca più di nasconderlo. I deputati delle due fazioni si insultano apertamente, come se non fossero iscritti allo stesso partito. Il sottosegretario allo Sviluppo economico, Richard Harrington, ha detto in un'intervista a The House, il settimanale per gli addetti ai lavori del parlamento, che “gli euroscettici non sono conservatori...Se fossi in loro, guarderei con interesse al nuovo partito di Nigel Farage (il Brexit party, ndr), che esprime le loro stesse posizioni”. Malgrado tutto, i conservatori hanno più da perdere da un'eventuale scissione. Il governo ha una maggioranza risicata, e basterebbero poche defezioni per andare di nuovo alle urne. Poi, i laburisti e i conservatori europeisti la pensano allo stesso modo sulla Brexit – entrambi vogliono un secondo referendum – ma non sono d'accordo su tutto il resto. Come faranno a stare insieme? Il programma dei ribelli anti-corbyniani non è molto chiaro. Hanno spiegato tutto ciò che non vogliono – l’antisemitismo, l’ambiguità sulla Brexit – ma non hanno ancora detto ciò per cui sono a favore.

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