Alexandria Ocasio-Cortez è l'altra faccia del populismo trumpiano
Retorica spinta, sapiente uso dei social, poca politica. La giovane Dem copia The Donald e lo sa perfettamente
Da quando è arrivata a Washington, eletta in uno dei distretti più democratici della nazione, Alexandria Ocasio-Cortez è impegnata in una tenace e pianificata promozione del suo personaggio. E per la più giovane deputata della storia americana nulla è naturale che promuoversi utilizzando i social network. Così, per alimentare il clamore suscitato dalla sua scalata al Congresso, Ocasio-C. non perde occasione per segnalare, via diretta social, la propria estraneità agli ambienti formali della capitale. E’ una donna intelligente e ben consigliata, sa quanto vale il suo personaggio e, in attesa di cimentarsi con la prova del lavoro legislativo, si prende cura della propria immagine.
Di cose strettamente politiche, zero. L’unica scelta propriamente politica in cui la newyorchese poteva tentare di differenziarsi sul merito, è stata abilmente schivata. La democratica socialista Ocasio-Cortez è stata, infatti, tra le prime e i primi neoeletti a sostenere la candidatura di Nancy Pelosi a speaker della Camera. La Rosa Luxemburg del Bronx, figlia di Occupy Wall Street, fustigatrice delle multinazionali, è corsa a sostenere una milionaria californiana, da più di trent’anni al Congresso, che è oggi l’espressione più emblematica di quell’establishment democratico contro cui Ocasio-C. ha detto cose terribili.
Certo, la storia dei rivoluzionari di sinistra che vanno a braccetto coi milionari illuminati potrebbe riempire un volume della Treccani. Un’irrefrenabile attrazione che ha già interessato molti contestatori del sistema. Quando poi in America, e non solo in America, i leader progressisti che hanno legiferato di più e meglio in materia sociale sono tutti rigorosamente centristi: da Franklin Roosevelt a Lyndon Johnson. Entrambi per altro grandi innovatori del linguaggio politico: il primo attraverso l’utilizzo della radio, il secondo firmò lo spot televisivo più famoso delle campagne presidenziali, quello della bimba che strappa i petali di una margherita prima di un’esplosione nucleare.
Se Roosevelt adoperava la radio e Johnson la tv, Ocasio-C. fa un uso assai competente di internet e dei social network. Quel tipico utilizzo fintamente amatoriale che è ormai la modalità più professionale per ottimizzare il rendimento della rete. Ocasio-C. fa il bucato in diretta social, fa la zuppa in diretta social, fa una miriade di dirette social dal Congresso per raccontare come funziona il palazzo del potere: i tic, i riti, le tediose tradizioni di una delle più antiche democrazie del mondo. Una strategia di desacralizzazione del potere che, nel paese della religione civile, è un’operazione interessante.
“I think it’s so important that we humanize our government”, ha spiegato Ocasio-C. via social. Umanizzare, dice lei. Quelli di sinistra che la sostengono citano il Lincoln del “government of the people, by the people, for the people”. Uguale. Molti opinionisti conservatori, invece, ci cascano come pere cotte e s’infilano in polemiche ridicole. Per esempio sui vestiti chic della proletaria Ocasio-C. che non tutti i proletari del mondo potrebbero permettersi. Polemiche sterili e un po’ sessiste, facilmente riconsegnabili al mittente. Quel che conta è che tutti, chi la paragona a Lincoln e chi le fa il conto della boutique, fanno il suo gioco.
Un gioco sopraffino, soprattutto nell’utilizzo di Instagram. Molte storie, raccontate con un video dall’eroina della trasparenza al potere, sono caricate su Instagram con una modalità che prevede la scomparsa automatica, senza lasciare traccia di sé. In una democrazia in cui alla Casa Bianca c’è un tizio, pagato dai contribuenti, addetto a ricomporre anche l’ultimo foglio di carta strappato a pezzetti dal presidente, perché anche quello deve essere formalmente archiviato, una rappresentate del popolo sovrano carica video che si distruggono automaticamente dopo la visione. Questo messaggio si autodistruggerà entro cinque secondi: 5, 4, 3, 2, 1… uguale spiccicata a Lincoln.
Il sorteggio degli uffici
Pochi pomeriggi fa, Ocasio-C. ha documentato l’assegnazione per sorteggio degli uffici del Congresso ai nuovi parlamentari. Un florilegio di moine, battutine e risatine su questa modalità così bislacca di assegnare le stanze: non far decidere ai capi corrente del partito, ma affidarsi al dio del caso. Una nuova occasione per Ocasio-C. di aprire il palazzo alla gente, ridere dei riti e delle prassi della politica e desacralizzare le istituzioni. Ogni distanza tra cittadini ed eletti deve essere annullata. Ogni mediazione soppressa. La forma della democrazia deve essere scomposta, quindi deformata, per renderla immediatamente comprensibile a chi non ha gli strumenti culturali per capire come e perché quella forma si è storicamente determinata.
Non c’è tempo di spiegare alla gente come e perché il palazzo sia fatto in quel modo. E magari i politici ne hanno poca voglia. Talvolta sono sprovvisti loro stessi di quegli strumenti, di quella preparazione e di quella esperienza indispensabili per spiegare il come e il perché delle cose. Si fa prima a fare entrare la gente nel palazzo con un video sul telefonino. Si fa prima a farglielo vedere con i loro occhi e sullo smartphone. Magari mentre sono in metro e vanno o tornano da lavoro, o sono stravaccati nei loro divani. Poco importa che non ci sia nulla di più finto di questa finzione organizzata. Poco importa che nulla produca maggiore distanza tra elettori ed eletti di questa posticcia prossimità, intermediata da uno schermo di cinque pollici e mezzo e da video che si autodistruggono come i messaggi di un telefilm di spie di fine anni 60.
Per ora, la Rosa Luxemburg del Bronx, figlia di Occupy Wall Street, ha dato l’appoggio a Nancy Pelosi, una milionaria californiana da più di trent’anni al Congresso che è oggi l’espressione più emblematica di quell’establishment democratico contro cui Ocasio-C. ha detto cose terribili
Ovvio che, mentre pensi ad Alexandria, viene in mente Donald Trump. Ma il suo metodo e il suo personaggio di uomo d’affari che, dalle primarie repubblicane alle presidenziali, aggredisce e contesta la politica politicante, ha almeno il piccolo indizio di autenticità della sua biografia. Trump è un businessman di successo: non finge di esserlo. La sua retorica antistituzionale somiglia a quella tipica dello stilema dell’uomo d’affari che scala i ranghi della politica. L’abbiamo già vista. È una retorica violenta e volgare, irresponsabile e ingannevole, disdicevole per un uomo che decide di servire la cosa pubblica. Ma almeno Trump ha combinato qualcosa nella vita prima di entrare nel palazzo e prendersi gioco della fragile house of cards della politica americana.
Ocasio-C. copia Donald Trump e, probabilmente, è così avveduta da saperlo perfettamente che i suoi video su Instagram sono solo citazioni trumpiane. È, d’altronde, un’ipotesi di lavoro suggestiva per molta sinistra in crisi d’identità pensare di imparare la grammatica e la sintassi del populismo ed esercitarla in altra direzione. Al populismo tracotante trumpista, Ocasio-C. oppone un populismo pop che è la vera cifra della sua identità politica. Lo condisce con una vaga idealità socialista, che si traduce in una classica richiesta di rafforzamento dell’intervento statale e federale in ambito sociale. E vedremo cosa aggiungerà a tutto questo quando comincerà il suo lavoro di legislatrice. Ma c’è da credere che sarà sempre un racconto coerente con questo esordio così intimamente (e convintamente) populista.
I due corpi del re
Trump e Ocasio-C. ce l’hanno a morte con Kantorowicz e la sua teoria dei due corpi del re. Per loro non esiste il corpo mistico, quello che storicizza l’istituzione e la scorpora del fisico mortale e corruttibile del leader di turno. “Sono solo un corpo dal punto di vista naturale, ma col permesso di Dio, sono anche un corpo politico concepito per governare”, spiegò Elisabetta I al momento dell’investitura. Diversamente, per Trump e Ocasio-C. esiste sono il corpo naturale, che finge di essere tutt’uno con il corpo elettorale. La storia non esiste: Trump e Ocasio-C. vivono in un eterno dilatato presente, condizione che induce entrambi a raccontarsi in presa diretta come in un reality show. Il primo meglio su Twitter; la seconda più a suo agio su Instagram.
È uno dei meccanismi preferiti del populismo al governo negare profondità sia all’analisi dei problemi che alle loro possibili soluzioni. Se conta solo l’oggi, vissuto nella sua immediatezza, diventa fondamentale raccontarlo in presa reale. Ma può essere un’opzione ghiotta anche per il populismo d’opposizione: rispondere ad analisi sterili con critiche emozionali e replicare a soluzioni superficiali con alternative velleitarie. Il populismo non ha consapevolezza storica. Scorre nella storia come un fiume carsico e quando spunta in superficie, dopo anni di vita sotterranea, necessita di ogni attenzione su di sé.
Oggi il fiume carsico Ocasio-C. scivola nel letto scomodo del Congresso: l’istituzione meno amata dagli americani. Faticherà molto per conservare la propria innocenza politica, soprattutto quando la battaglia politica si farà dura e lei dovrà far fronte alla sua scarsa competenza e alla suprema inesperienza. Intanto guarda il mondo di Washington dall’oblò del suo smartphone (più spesso da quello di un suo collaboratore) e racconta ai suoi elettori come tutto nel Distretto di Columbia sia così spassosamente buffo. Protetta dall’enorme montatura dei suoi occhiali, un po’ come Trump è al riparo sotto il ciuffo giallo che ogni giorno sfida la legge di gravitazione universale.
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Presidenziali americane