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I socialisti democratici sono rivoluzionari o ragazzi qualunque figli di Occupy?

I democratic socialist non sono altro che ragazzi del loro tempo. I loro idoli non sono quelli dei loro padri, non vogliono rovesciare il sistema ma soltanto riportarlo a una condizione accettabile

Il socialismo per millennial è l’emoji di una rosa, è l’abbonamento alla rivista Jacobin, è seguire Alexandria Ocasio-Cortez che grida di dolore al confine con il Messico o esulta di gioia su un palco accanto a Bernie Sanders, è l’esibizione orgogliosa dell’etichetta di democratic socialist, la definizione più abusata del momento. O forse no. Forse questo apparato iconografico socialisteggiante è in realtà un paravento per coprire una realtà più prosaica: i democratici socialisti sono ragazzi senza velleità di lotta di classe né retorica della working class che semplicemente protestano contro lo strapotere dell’1 per cento. Non significa che lavorano per la rivoluzione né che vorrebbero radere al suolo il capitalismo, soltanto ambiscono a fare una vita da classe media senza essere vessati da un cartello di corporation globali che hanno deformato il mercato oltre i suoi limiti naturali. Sono, in sostanza, dei millennial, figli non sempre consapevoli del movimento Occupy Wall Street. Su The American Interest, Ben Judah ha esposto la tesi in modo chiaro: i democratic socialist non sono altro che ragazzi del loro tempo. I loro idoli non sono quelli dei loro padri, non vogliono rovesciare il sistema ma soltanto riportarlo a una condizione accettabile. Vogliono, certamente, università gratuite, assistenza sanitaria pubblica e innalzamento del salario minimo con le tutele sindacali che ne conseguono, ma le giudicano richieste normali, niente di sconvolgente. Di recente una giornalista conservatrice è andata a seguire un comizio di Ocasio-Cortez e Sanders in Kansas, e quando ha raccontato a Fox l’esperienza che in teoria avrebbe dovuto farla rabbrividire, dalla sua bocca è uscita questa frase: “Chiedono quello che tutti desiderano, specialmente i genitori”.

 

David Graeber, il creatore dell’immagine del 99 per cento, ha spiegato a The American Interest che questa trovata “ci ha permesso di andare oltre le vecchie divisioni della tradizionale politica di sinistra e di creare un punto di unità per tutti”. Si può riconoscere nel 99 per cento, e dunque essere “socialista”, “chiunque non sia Sheldon Adelson”, non c’è bisogno di fare alcuna retorica del proletariato. Se si accetta questa versione del socialismo, che sostituisce la generazione alla rivoluzione, si spiega perché il network Democratic Socialists of America, fondato nel 1982, ha fatto ora il pieno di iscrizioni e ha dato la sua benedizione a 42 candidati nel partito democratico che sfidano al midterm i colleghi dell’establishment. Ma i socialisti sono d’accordo con il loro annacquamento a millennial con una verniciata di giustizia sociale? A leggere Jacobin, che è un po’ l’autocoscienza dei democratic socialists, si direbbe di no. Uno spiegone della rivista alternativa reitera tutte le parole d’ordine della lotta di classe, parla del rovesciamento del sistema capitalistico, invoca la working class e rimprovera la socialdemocrazia scandinava di avere accettato un dolciastro compromesso progressista: “Non ha mai sfidato davvero la fonte del potere classista del capitalismo: la proprietà dei diritti di proprietà sulle maggiori industrie nazionali”. Converrà forse che i democratic socialist americani si mettano d’accordo su chi sono.

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