George Bush aveva 94 anni (foto LaPresse)

L'eredità di Bush senior

Redazione

E' morto a 94 anni il vertice di una dinastia di repubblicani. Dalla caduta dell'Urss, alla Guerra del Golfo, fino all'odio verso Trump

Il 41esimo presidente degli Stati Uniti, George Bush, è morto ieri a 94 anni nella sua residenza di Houston. Da anni era malato di Parkinson e la malattia lo aveva costretto su una sedia a rotelle. Da tempo era costretto a lunghe terapie in ospedale e pochi giorni dopo il funerale della moglie Barbara, morta a 73 anni lo scorso aprile, Bush era stato colpito anche da una grave infezione del sangue.

 

Figlio del senatore Prescott S., Bush raggiunse alla Casa Bianca, tra il 1989 e il 1993, l’apice di una brillante carriera diplomatica lunga oltre 40 anni, con un curriculum prestigioso: imprenditore petrolifero, eletto in Texas come membro del Congresso per due mandati, ambasciatore alle Nazioni Unite, presidente della Commissione nazionale dei repubblicani, inviato degli Stati Uniti in Cina, direttore della Cia e vicepresidente durante la presidenza di Ronald Reagan (un caso unico, il suo, capace di vincere le elezioni da vicepresidente in carica, un primato condiviso solo con Martin Van Buren, che ci riuscì nel 1836). Fu anche l’ultimo presidente degli Stati Uniti reduce della Seconda Guerra mondiale, quando da pilota della Marina militare appena ventenne fu abbattuto nei cieli del Pacifico e salvato da un sottomarino americano. Nel 1991, dopo avere condotto il suo paese attraverso un passaggio epocale come la caduta dell’Unione sovietica, la fine della Guerra Fredda e la liberazione dei paesi dell’Europa orientale, Bush si lanciò nella sua campagna militare in Iraq. La Prima guerra del Golfo contro il dittatore Saddam Hussein fu un successo, con la cacciata delle truppe irachene dal Kuwait che allontanò definitivamente, secondo molti americani, i fantasmi del disastro del Vietnam. I bombardamenti su Baghdad iniziati il 16 gennaio del 1991, “la madre di tutte le battaglie”, come la definì Saddam Hussein, furono annunciati da Bush con una frase celebre, che sintetizzava la sua visione politica, all’insegna della moderazione e del realismo: “Il nostro obiettivo non è conquistare l’Iraq, ma liberare il Kuwait”. Dopo il cessate il fuoco, alla guardia presidenziale fu concesso di lasciare la città, Saddam rimase al potere e la guerra fu vinta. “Finiamola qui”, rispose Bush al generale Powell che gli confermò il successo dei bombardamenti. “Ancora oggi non mi pento di avere terminato la guerra a quel punto”, scrisse anni dopo. Un esito ben diverso da quello conseguito con la seconda campagna militare irachena lanciata dal figlio, George W. Bush, nel 2003.

 

 

Bush visse i suoi 40 anni di servizio agli Stati Uniti come una missione, come lui stesso ammise nel suo discorso a New Orleans del 1988, quando accettò la nomination come candidato repubblicano: “Sono un uomo che vede la vita in termini di missioni, missione definite, missioni compiute. Questa è la mia missione e io la porterò a termine”. Nel 1944 sposò Barbara Pierce, conosciuta tre anni prima durante una festa. Figlia di un editore celebre, Barbara fu la migliore alleata del 41esimo presidente degli Stati Uniti: colta, riservata ma risoluta, partecipò a tutte le campagna elettorali del marito e dei figli e fu benvoluta dagli americani che ne apprezzavano l’umiltà e la determinazione.  

 

 

Oltre alla contrapposizione tra il realismo moderato di Bush padre e l’idealismo muscolare da neoconservatore incarnato dal figlio George W, col tempo emersero anche diversi attriti intergenerazionali tra i due. Con il calo dei consensi espressi dagli americani nei confronti del figlio al termine del suo secondo mandato, aumentavano di pari passo gli apprezzamenti per Bush senior, come dimostrò un sondaggio del 2012, quando il 59 per cento degli intervistati approvava l’operato del 41esimo presidente degli Stati Uniti. Una competizione famigliare che fu sfruttata anche da Barack Obama in termini elettorali, quando nei suoi comizi, per colpire il rivale George W., celebrava la competenza e le qualità morali del padre. In un libro del 2015 di Jon Meacham, Bush confessò tutta la sua preoccupazione per come il figlio avesse sdoganato una politica a suo giudizio troppo militarizzata e interventista in ogni parte del mondo. Pare anche, ma questo non ha mai trovato conferme, che avesse sconsigliato al figlio di intraprendere la campagna militare in Iraq nel 2003. Nemmeno i vecchi membri del suo entourage, Dick Cheney e Donald Rumsfeld (rispettivamente vicepresidente e segretario alla Difesa nell’Amministrazione guidata dal figlio), si salvarono dalle critiche di Bush senior.

 

Su un punto padre e figlio si trovarono invece d’accordo, qualche anno dopo: il disprezzo per Donald Trump. Nel 2016, alla Convention dei repubblicani, nessuno dei due partecipò alla riunione che acclamò il tycoon come rivale ufficiale di Hillary Clinton nella corsa alla Casa Bianca. Durante le primarie, Trump definì il rivale Jeb Bush, governatore della Florida dal 1999 a 2007 e fratello di George W., “privo di energie” e alla fine Jeb fu costretto a ritirarsi dalla competizione.

 

Gli ultimi anni Bush li ha trascorsi da osservatore della politica nazionale e internazionale, impegnandosi insieme al suo vecchio rivale Bill Clinton in campagne di beneficienza. “Sono certo che non sarò ricordato per essere stato un visionario – ha scritto – ma spero di essere visto come posato, prudente e abile”.  

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