Barbara Bush con il marito George nel 2000 (foto LaPresse)

E' morta Barbara Bush, first lady più amata d'America

Personalità fortissima, indipendente, capace di battute taglienti e giudizi trancianti, è stata sposata per 73 anni con George H.W. Bush. Anche suo figlio, George W. Bush è stato presidente degli Stati Uniti

L’unica lettera di George H.W. Bush alla sua Barbara che è stata recapitata dalla guerra è del 12 dicembre 1943. Profetizza un avvenire di felicità: “Quante volte ho pensato alla gioia incommensurabile che sarà nostra un giorno. Quanto saranno fortunati i nostri figli ad avere una madre come te”. A gennaio i Bush hanno festeggiato 73 anni di matrimonio, il più longevo della storia della Casa Bianca, benedetto da sei figli – una è morta all’età di tre anni di leucemia: si chiamava Pauline Robinson, come la madre di Barbara – e fra questi c’è anche un altro presidente americano, caso raro eppure non unico nell’America delle dinastie politiche. Nell’ultimo giorno di Barbara su questa terra, il marito è stato al suo capezzale e le ha tenuto la mano tutto il tempo. Barbara Bush – Pierce era il suo cognome da ragazza – è morta ieri a 92 anni. Domenica un portavoce della famiglia aveva annunciato la sospensione di ogni cura medica e il passaggio al “comfort care”, spiegando che grazie alla sua “solida fede” era una “roccia” di fronte alla salute del corpo che si deteriorava in fretta. Lei parlava e si occupava più dell’anima, ultimamente, come ha ricordato anche George W. Bush nel suo messaggio per la scomparsa della madre: “Laura, Barbara, Jenna e io siamo tristi, ma le nostre anime sono in pace perché sappiamo che la sua lo era”.

 

Personalità fortissima, indipendente, capace di battute taglienti e giudizi trancianti, è stata una delle first lady più amate anche per la grazia con cui ha interpretato il suo ruolo pubblico, già quando era moglie del vicepresidente. Durante gli anni alla Casa Bianca ha sempre rifiutato con garbo di esprimersi su argomenti politicamente sensibili, specialmente quelli su cui non vedeva con gli stessi occhi del marito, e non certo per mancanza di opinioni ben articolate. Il senso di discrezione, fedeltà e l’amore per l’unità del paese e della famiglia repubblicana erano i doni prevalenti di questa grande signora americana che si è dedicata a una serie di cause e missioni fra cui spicca quella per contrastare l’analfabetismo, che concepiva come inestricabilmente connesso alla povertà. Avrebbe fatto di tutto per l’amministrazione guidata dal marito, ma con tre eccezioni inderogabili: “Non mi tingerò i capelli, non cambierò il mio guardaroba e non perderò peso”. La battuta – serissima – racconta che l’ampia carica ironica di cui disponeva era spessissimo rivolta verso se stessa, altra caratteristica che ha fatto innamorare un’America che la paragonava inevitabilmente con le durezze di Nancy Reagan e l’aria calcolatrice di Hillary Clinton. 

 

A differenza del marito, e in contrasto con la posizione prevalente nel partito repubblicano di Ronald Reagan, era pro-choice e non ha mai sostenuto la battaglia per revocare la Roe v. Wade, la sentenza che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti. Una volta ha detto: “Odio gli aborti, ma non posso scegliere per qualcun altro”. La franchezza di parola le ha procurato, occasionalmente, qualche dispiacere, quando ad esempio è incappata in battute poco felici sulla guerra in Iraq o sulle vittime dell’uragano Katrina, le due vicende più brucianti della complicata presidenza di Dubya. Sono il prezzo inevitabile per chi sceglie di non aderire al protocollo delle frasi di circostanza.

 

Alla Casa Bianca ha lottato per avere una macchina più piccola e normale di quelle usate di solito dal Secret Service e per poter prendere voli di linea per le visite fuori città: ha vinto la prima battaglia, non la seconda, ma entrambe rivelano qualcosa della personalità di questo monumento americano che con la sua storia abbraccia l’intero paese, dall’isola di Manhattan, dov’è nata, al Texas dove la famiglia di patrizi del New England del marito ha costruito nuove fortune petrolifere dopo la guerra. Quando il giovane Jeb si è messo in testa per la prima volta l’idea della corsa per la presidenza, lei non ha nascosto il suo dissenso – “troppi Bush”, ha detto – ma poi ha cambiato idea e si è ritrovata a sostenere attivamente la sua candidatura, e poi con rinnovato vigore quando si è palesato sulla scena uno sboccato populista che “dice cose terribili sulle donne e sui militari”. Non si capacitava di come la gente potesse sostenere uno come Trump, e perciò ha sofferto doppiamente quando Jeb è stato spazzato via dalla più pazza contesa elettorale che avesse mai visto. E lei ne aveva viste.

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