Una manifestazione a Varsavia dopo l'allontanamento dalla Corte Suprema del giudice Malgorzata Gersdorf. Foto LaPresse

Guarda un po' quanti euroscettici sono assaliti dalla realtà

Paola Peduzzi

La Polonia fa marcia indietro sulla riforma dei giudici: sventolare una “exit” non rende. Lezioni inglesi e greche

Milano. La Polonia ci ha ripensato, i giudici della Corte Suprema che erano stati costretti a dimettersi (circa un terzo del totale) in seguito all’introduzione della riforma giudiziaria voluta dal governo del PiS saranno reinsediati: così aveva chiesto il mese scorso la Corte di Giustizia europea, e al Parlamento di Varsavia è stato presentato un emendamento che dà seguito alla richiesta. I giornali brexitari inglesi dicono che la Polonia si piega al giogo europeo, un altro caso di sopruso bruxellese come già fu la troika in Grecia, com’è oggi l’ostinazione europea sulla Brexit. Ma in realtà non è la paura di eventuali sanzioni europee – con l’attivazione della procedura disciplinare prevista dall’Articolo 7 contro le violazioni dello stato di diritto – ad aver spinto lo stesso Jaroslaw Kaczynski, leader del PiS e padrino del governo polacco, a fare un passo indietro. Le ultime elezioni locali non sono andate bene per il partito al potere – soprattutto nelle città, grandi e piccole – e lo spauracchio di un continuo scontro con l’Unione europea, quello sventolare irresponsabile di un’ipotesi di “exit”, si è rivelato controproducente. In vista delle elezioni europee del maggio del prossimo anno, lo scontro ideologico sarà duro, ma Kaczynski non vuole abbandonare l’Ue, il prezzo da pagare per un paese come la Polonia sarebbe eccessivo, e se i polacchi dovessero avere il timore di scivolare fuori dal consesso europeo potrebbero finire per ribellarsi al governo.

 

Tutto l’est Europa, che vive nella contraddizione della dipendenza economica dall’Europa e di una retorica antieuropea, è scosso da manifestazioni e proteste. Sempre più grandi, sempre più sparse. L’ex direttrice del Monde, Natalie Nougayrède, è andata a vedere da vicino queste piazze, ha guardato i cartelloni, ha sentito i cori, ha ascoltato le persone, e in un articolo sul Guardian scrive: il populismo da queste parti non è certo finito, ma “lo spirito di dissidenza sta bene ed è in forma, e l’Europa occidentale dovrebbe prendere nota”. In quell’est che pareva perduto nella democrazia illiberale squilla di nuovo l’urgenza liberale, forse perché lì le castronerie storiche di alcuni politici britannici – l’Europa è una prigione, l’Europa è come l’Unione sovietica – suonano davvero sinistre. Il nostro emisfero europeo prende nota eccome, abbiamo la Brexit sotto gli occhi in questa sua burrascosa fase finale. 

 

Dopo due anni di negoziati, vertici notturni e grande enfasi sui periodi di transizione – che sono un enorme: prendiamoci altro tempo – è chiaro che un po’ di Europa conviene tenersela, il distacco netto è davvero troppo costoso. Vagheggiare le “exit” può avere un effetto temporaneo vantaggioso, ma poi l’incantesimo finisce, i cavalli tornano topolini e non possono trainare nessuna carrozza – figurarsi un paese intero. Se c’è un errore che la premier Theresa May ha fatto – è bene sottolinearlo ora che la sua popolarità cresce e gli europei le danno credito – è stato quello di lasciar credere che l’incantesimo fosse permanente, che la Brexit fosse facile, fattibile, persino funzionale, un inganno che ora pagherà personalmente in Parlamento. In Grecia era andata nello stesso modo, un gran trambusto popolar-populista, non ci piegheremo alla troika disegnata con gli sciagurati baffetti hitleriani, e poi una marcia indietro, vogliamo restare con voi, teneteci stretti. Yanis Varoufakis, il ministro greco ribelle che voleva andare fino in fondo e che è stato messo da parte dal premier-amico Alexis Tsipras, viene intervistato sui giornali britannici (si sente tanta aria greca nel Regno, in questi giorni) e dice che l’Europa ha dichiarato guerra agli inglesi, e che gli inglesi si sono lasciati sopraffare. Il problema dell’Ue non sono le “exit”, dice, ma le rotture interne, gli Orbán, gli italiani, le regole violate stando dentro. C’è del vero, ma far rispettare le regole non è dichiarare guerra, è convivenza, e l’Europa è così, la buona moglie, quando ce l’hai la maltratti, appena rischi di perderla la vai a cercare, se appena volta le spalle, ti manca già.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi