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Il Labour dei non detti

Paola Peduzzi

Corbyn vuole o non vuole la Brexit? Non lo sa (!) e dissemina di inganni la sua strada verso il potere

Milano. Con tutte le deliziose borsine rosse che andavano a ruba alla conferenza del Labour a Liverpool un paio di mesi fa ci si potrebbe fare un bel falò, qualche volenteroso millennial inglese ci avrà già pensato. “Love Corbyn, Hate Brexit” era lo slogan, ma Corbyn, il leader del Labour britannico, non odia la Brexit, e comunque non è nemmeno più così amato, non dai giovani perlomeno: l’ultima rilevazione YouGov fatta per Red Box, rubrica e newsletter politica del Times, dice che da luglio a oggi la popolarità di Corbyn è crollata di 14 punti tra gli elettori di 18-24 anni, che è la categoria dei fan più attivi e presenti del leader laburista. Il Labour è davanti ai Tory nei sondaggi nazionali, l’occasione di potere che Corbyn cerca indefesso da tre anni è a portata di mano, ma non ha molto a che fare con l’odiare la Brexit, con la possibilità, anch’essa mai tanto concreta, di ribaltare il corso della storia, e restare dentro all’Unione europea. Corbyn semplicemente dice: l’accordo negoziato da Theresa May, premier inglese, con Bruxelles è brutto e pericoloso, lo bocceremo in Parlamento. Alternative? Una Unione doganale “onnicomprensiva”, i cui dettagli sono ignoti ai più, e una Brexit per i lavoratori, per gli investimenti, per il controllo dell’immigrazione, per il rilancio del paese, che suona benissimo ma non vuol dire niente. La “jobs first Brexit” che anima i discorsi di Corbyn non esiste, così come non esiste una Brexit che crei valore per il Regno Unito: un piano alternativo negoziato “all’undicesima ora” è l’equivalente laburista del ponte tra Regno Unito e Irlanda del nord vagheggiato dai brexiteers.

  

Corbyn ha fatto dell’ambiguità la sua tattica, sempre aperto a ogni possibilità e allo stesso tempo incapace di rispondere a una domanda semplice: se si fa un referendum, tu cosa voti? “Non so cosa voterò, non so quali saranno le opzioni disponibili in quel momento”. Peccato che il momento è adesso e le opzioni sono chiare: c’è un deal del governo, c’è un no deal (che è quello che prevede l’articolo 50: se il negoziato fallisce, si esce senza accordo) e c’è la possibilità di dire restiamo, questa Brexit sembrava carina a prima vista, invece era un mostro. La domanda è semplice, non avere una risposta dopo due anni in cui non si è parlato d’altro è per un leader politico d’opposizione poco meno di una presa in giro.

  

Corbyn vuole bocciare l’accordo della May in Parlamento, e al momento potrebbe farcela: la maggioranza di 318 voti a Westminster pare lontanissima per la premier. Poi Corbyn vuole indire le elezioni – ci vuole un voto parlamentare – e vincerle, e a quel punto negoziare un nuovo accordo con Bruxelles. Il tempo non c’è, ma Corbyn dice che può sforare e andare oltre il 29 marzo 2019, tanto c’è un periodo di transizione di due anni rinnovabile pressoché in eterno (sì, questo prevede l’accordo May) di cui approfittare. Ma il periodo di transizione è legato al negoziato, se non c’è l’accordo non c’è nemmeno il periodo di transizione. L’alternativa è chiedere di allungare i tempi dell’articolo 50, cosa fattibile soltanto con il consenso dell’Unione europea: però va fatta la richiesta. Corbyn dice di fare un passo alla volta, ha una visione economico-sociale per i prossimi duecento anni ma per la Brexit no, procede come un miope senza occhiali, perché l’arma migliore è non svelarsi, intanto andiamo a Downing Street e poi vediamo. E’ una pura lotta di potere, la Brexit è un accidente capitato in mezzo.

  

I sostenitori del People’s Vote – il movimento che chiede un secondo referendum – non sanno più come insistere, se vogliamo ribaltare la Brexit l’occasione è qui, ora, non c’è un minuto da perdere. E’ la strada più pericolosa che c’è, questa, dà le vertigini l’idea di affacciarsi di nuovo sul crepaccio del voto popolare, ma due anni non sono passati invano, c’è una maggiore consapevolezza, maggior contezza dei rischi inevitabili di una vita in solitudine. Ma se la May non ha questo coraggio perché dovrebbe avercelo Corbyn che non è nemmeno al governo?, dicono i sostenitori del leader laburista. Così si aspetta che i Tory rovinino tutto da soli, arte in cui sono specializzati, sperando di ritrovarsi al posto di comando e a quel punto prendere le decisioni necessarie. Ma la Brexit si fa o non si fa? Il leader dell’opposizione britannica non risponde, col rischio che ci inciamperemo, in questa Brexit, e resteranno in piedi i peggiori.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi