Vladimir Putin all'inaugurazione del ponte, a maggio. Foto LaPresse

Ecco la commedia sentimentale patriottica, versione truce romantico russo

Micol Flammini

Il nuovo film sulla Crimea sceneggiato dalla direttrice di Russia Today ha come improbabile sfondo il ponte che collega la penisola ucraina alla Russia, inaugurato da Putin a maggio 

Il romanticismo travolge tutti, anche i truci. Ed è vero che con addosso il calore e la luce dell’innamoramento siamo tutti un po’ sognanti e assenti, ma i truci riescono a essere incredibilmente goffi, impacciati, così ridicoli che anche per il più truce dei truci, quando è in balia del romanticismo, proviamo un fremito di turbata tenerezza. Il nazionalista innamorato, con il sorriso affranto e gli occhi velati da una distratta amarezza che in un selfie si ritrae con una piantina di orchidee in mano e saluta gli amici ringraziandoli per tre volte – “Grazie, grazie, grazie” – dopo essere stato abbandonato dalla sua amata ci ha fatto dimenticare, giusto per un attimo e non di più, del nazionalista politico, in una parola: del truce. E se pensiamo ai truci della politica internazionale, ai russi, e scopriamo che inventano un nuovo genere cinematografico, la “commedia romantica patriottica”, veniamo presi e turbati da quella stessa tenerezza, pronti, giusto per un attimo e non di più, a dimenticarci di tutto il resto: del Donbass, di Skripal, della Siria, dei troll.

  

E’ uscito la scorsa settimana in Russia un nuovo film, dal titolo: “Il ponte di Crimea, fatto con amore”. Sfondo improbabile di una storia di amore e passione è il ponte inaugurato da Putin a maggio che collega la Russia, dalla regione di Krasnodar, alla Crimea, la penisola ucraina annessa da Mosca nel 2014. Da quando la penisola è diventata russa, il Cremlino ha da subito iniziato a lavorare a un progetto che fosse in grado di rendere i collegamenti più rapidi, che facesse sentire, anche fisicamente, la Crimea più russa. Il ponte continua a suscitare molte critiche, soprattutto dalla parte ucraina. Si sapeva che sarebbe entrato nella storia del putinismo, certo, però si ignorava che lo avrebbe fatto con un film sceneggiato dalla direttrice di Russia Today, Margarita Simonyan, e diretto da Tigran Keosayan, suo marito, che già l’anno scorso aveva realizzato un altro film ambientato sempre nella penisola e dal titolo “Crimea”. All’inizio del film, il tataro Damir ricorda come il ponte sullo stretto di Kerch esistesse già, ma nel 1945 era stato buttato giù, distruggendo le sue speranze di ricongiungersi con la sua amata. Tutto inizia con una falsità storica, dal momento che i tatari che vivevano in Crimea sono stati deportati da Stalin nel 1944. Alla costruzione del nuovo ponte lavora Dima, giovane, biondo e muscoloso capocantiere che dovrà scontrarsi con un giornalista venuto da Mosca per seguire e raccontare la costruzione della grande impresa, una struttura titanica di diciannove chilometri, tutto ferro e asfalto. I due combatteranno per conquistare Verya, giovane, bionda e sexy, un’archeologa arrivata un po’ per divertirsi, un po’ per cercare dei reperti archeologici. Poi ci sono Berik, un cosacco che sogna di incontrare una donna americana e fuggire a Hollywood, e Tikhon, un reporter che vuole combattere per la verità e raccontare al mondo che la Crimea è stata annessa, ma si innamora della nipote di Damir il tataro e capirà che la penisola, oltre a essere davvero russa, è anche un paradiso. C’è amore, amore ovunque. A dire che con questo film è stato inventato un nuovo genere cinematografico, la commedia romantica patriottica, è il critico di Meduza, Anton Dolin. Ma oltre al nuovo genere, con questo film è stata inventata una Crimea perfetta, senza conflitti, dove non esistono cattivi, ma solo innamorati. Una Crimea sempre soleggiata dove si nuota, si balla, ci si innamora, una Rimini sul Mar Nero. Sullo sfondo di ogni immagine, o quasi, c’è il ponte, personaggio immobile e rassicurante.  

   

La critica in Russia si è divisa tra chi ha definito il film pura propaganda, un oscuro ritorno agli anni sovietici, e chi invece ne ha esaltato il valore istruttivo e metaforico. Egor Belikov, critico della rivista Afisha, ha scritto: “Questo film si rivela uno strano ibrido tra ‘Crimea’ e ‘American Pie’, il ponte è come un fallo di ferro, ora e per sempre inserito dalla madrepatria nel corpo di quella penisola appena acquisita”. “E’ una pallida imitazione degli sforzi di propaganda sovietica”, ha detto la politologa russa Ekaterina Schulmann all’agenzia Afp. Ma Anton Dolin preferisce non chiamarla propaganda: “La propaganda è una macchina organizzata, questo film è qualcosa di diverso. E’ una folle fantasmagoria, non solo estremamente distante dalla realtà (e va benissimo), ma anche dalle leggi della trama”. Nel film non mancano i personaggi negativi, che ovviamente sono tutti americani. Giornalisti e documentaristi arrivati in Crimea soltanto per raccontare al mondo che lì va tutto male, che il ponte è un disastro, che le persone vivono in povertà, ma anche loro saranno sconvolti dalla penisola, da quel mondo soleggiato, dove la sabbia non è soltanto sabbia, ma ha proprietà benefiche. L’utopia costruita dalla direttrice di Russia Today, un’emittente legata al Cremlino, trova anche il modo di dare qualche insegnamento nazionalista, la Russia è per i russi e gli stranieri non possono capirla. A un certo punto arriva un messaggio trasmesso dalla televisione che Damir lascia sempre accesa: “La democrazia in stile occidentale non può funzionare altrettanto bene in tutti i paesi”. Ma i messaggi politici non sono mai palesi, è l’amore, è la bellezza, è il ponte – “estremamente sicuro”, dice il capocantiere –, è il sole a fare il film. E non importa se gli spettatori che lo hanno guardato hanno lasciato pessimi commenti sui social, il regista ha detto che sicuramente sono “bot malevoli”, quel che importa è che il romanticismo prende tutti, anche i più truci. Anche i russi, da oggi inventori della “commedia romantica patriottica”.

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