Jim Acosta e Donald Trump durante la conferenza stampa dopo le elezioni di metà mandato. Foto LaPresse

Nella lotta contro i giornalisti sta vincendo Trump

Paola Peduzzi

Il presidente americano ha i suoi mostri e i suoi tormentoni fake. Ma è in vantaggio nello scontro in corso tra la Casa Bianca e la stampa 

Milano. Celebrando la sua “vittoria straordinaria” di metà mandato Donald Trump è tornato su un suo grande classico: la stampa è “nemica del popolo”. Di nemici ce ne sono tanti, quasi tutti i giornalisti, i propalatori di “fake news”, ma c’è un nemico particolare, sempre lo stesso: Jim Acosta, il giornalista della Cnn che si occupa della Casa Bianca. C’è sempre bisogno di un mostro, in questo racconto trumpiano di scontro frontale, io contro di voi, conta solo la lotta, e come George Soros è il mostro liberal che trama contro l’identità nazionale americana, così Acosta è il mostro del giornalismo, l’uomo che compare sui cartelloni negli eventi trumpiani come un bersaglio, l’uomo che a quegli eventi viene sbeffeggiato e insultato. Non è l’unico, come si è detto, ma lui è il preferito, e sapendolo lo stesso Acosta non perde occasione per registrare e mostrare la campagna presidenziale di demonizzazione di cui è vittima. Alla conferenza stampa post voto di martedì sera, c’è stato l’ultimo duello, finito con una serie di foto e di video con inquadrature differenti (e manipolazioni) che dovevano stabilire se, nell’alterco tra Acosta e Trump, il giornalista avesse toccato l’addetta della sala stampa che si è avvicinata per togliergli il microfono come richiesto dal presidente. I due si toccano, lei cerca di prendere il microfono, lui di tenerselo, sta facendo una domanda al presidente, ma ovviamente non c’è alcuno scandalo nelle immagini, solo molta concitazione. Ma non si parla d’altro, perché con il pretesto del contatto tra i due la Casa Bianca ha tolto l’accredito ad Acosta. Così i giornali e i giornalisti difendono il collega e dicono che la democrazia americana si merita qualcosa di meglio di questo presidente e delle sue censure. 

  

Trump ha appena perso il controllo sulla Camera, ha licenziato il suo ministro della Giustizia, l’ha sostituito con uno molto ostile all’inchiesta sul Russiagate ma non si fa che parlare dell’ennesima lite tra Trump e Acosta. Che ci sia un problema è evidente: il presidente non perde occasione per accusare i giornalisti, i giornali e le emittenti televisive critiche nei suoi confronti, toglie loro la parola, li chiama “nemici del popolo”, li mostrifica. Non c’è nulla di salutare in questo continuo sfilacciamento del rapporto tra media e Casa Bianca, e anzi più passa il tempo più l’incomunicabilità diventa un problema, ma è chiaro che questi scontri sono un diversivo straordinario, “una tattica politica” come l’hanno definita molti commentatori. Trump ha affinato l’arte di parlare d’altro, e soprattutto di farsi seguire da tutti nelle sue deviazioni: la carovana di migranti dal Centro America è stata il caso-studio dell’ultima campagna elettorale (a proposito: nel giorno successivo al voto, Fox News non ha fatto nemmeno un servizio sulla carovana, quando fino al giorno prima non parlava d’altro, e no, l’invasione non è arrivata: è che l’invasione non c’era). Il diversivo sui nemici del popolo funziona ancora meglio, perché non è temporaneo e perché i giornalisti lo caricano di significati ulteriori, significati personali. A spiegare alla perfezione questa dinamica è stato, come spesso gli capita, Jon Stewart in un’intervista a Christiane Amanpour: Trump “morde” i giornalisti e “loro ci cascano”, lui li colpisce nel “loro narcisismo, nel loro stesso ego” e loro “si alzano e dicono: ‘Siamo nobili e siamo onesti, come ti permetti?’ e la predono sul personale. Così Trump ha dirottato il dibattito, che non è più sul fatto che le sue politiche sono stupide o non funzionano o questo genere di cose qui, ma solo e soltanto su questa lotta”. Ieri le reazioni al caso Acosta sono state un’altra dimostrazione di questo meccanismo, che Trump ormai utilizza in modo spregiudicato e grandioso, e più i giornalisti se ne accorgono – perché se ne accorgono – e meno riescono a contenere il proprio protagonismo. E’ accaduto con una carovana, figurarsi se non accade quando si parla di se stessi. Ma come dice Stewart, non c’è gara, “Trump vincerà questa lotta”, lo sta già facendo.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi